8.5
- Band: CALIGULA'S HORSE
- Durata: 01:01:59
- Disponibile dal: 26/01/2024
- Etichetta:
- Inside Out
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La pandemia che abbiamo vissuto ha avuto diversi collaterali e, fra questi, sicuramente l’aver modificato la direzione intrapresa da molte band e la scrittura di alcuni i album, con artisti che hanno espresso in musica lo strato di frustrazione accumulata in quei mesi e gruppi che, con una maggiore quantità di tempo a disposizione, hanno pubblicato lavori che, senza quell’isolamento, non avrebbero mai visto la luce del sole o comunque sarebbero nati sotto una stella differente.
Nella schiera delle formazioni che hanno utilizzato come catalizzatore tutta la rabbia repressa durante questi tempi bui, entrano ora a far parte i Caligula’s Horse che, con “Charcoal Grace” danno alla luce un album oscuro e spigoloso come mai prima.
Sono passati poco più di tre anni dalla pubblicazione di “Radiant Rise” ma la distanza, a livello di atmosfere, è di anni luce, tanto che anche la scelta dei titoli delle due opere sembra essere programmatica, con il primo che rammenta la radiosità della luce e l’altro che riporta al nero del carbone. Discutendo del disco, gli stessi musicisti di Brisbane hanno utilizzato le parole “il fascino cupo e la strana bellezza dell’immobilità, del silenzio e della perdita“, fortemente indicative sul contenuto di quest’ora abbondante di musica.
Gli australiani hanno perso il sorriso, non solo a causa della situazione globale ma anche, a livello più personale, per l’uscita del chitarrista Adrian Goleby, che ha lasciato il gruppo nel 2021, creando un clima di incertezza e di preoccupazione per il futuro, ma si sono rimboccati le maniche ed hanno proseguito come quartetto, facendo in modo che questo lavoro fungesse da catarsi a tutti i cattivi pensieri.
Dal punto di vista della forza espressiva, come termine di paragone, si può utilizzare “In The Passing Light Of Day”, l’album del 2017 dei Pain Of Salvation figlio delle dolorose vicende personali di Daniel Gildenlöw, che ha tradotto in note cupe ed atmosfere plumbee la propria esperienza: “Charcoal Grace” è fatto della stessa materia, non tanto (o non solo) per la presenza di una certa quantità di chitarre arcigne, quanto per un mood pieno di negatività che traspira da ogni solco. La sei corde è la protagonista assoluta di gran parte dei brani, ed era difficile prevederlo con un chitarrista in meno, con riff sferzanti ma anche e soprattutto con un gran lavoro di cesello, tra assoli e digressioni più intimiste. La voce è in generale più aggressiva e perfino l’utilizzo del falsetto assume un tono drammatico; pure i testi sono permeati dallo stesso pessimismo: pensiamo a “Golem”, che prende a prestito questa figura mitologica del folklore ebraico, simbolo dell’isolamento e della riduzione in stato di servitù, oppure a “Mute”, una discesa negli abissi che sembra uscita dalla penna dei Soen più sconsolati.
Allo stesso tempo, questo è anche un album con una forte componente progressive, per come è suonato e per la sua struttura, che comprende una suite suddivisa in quattro momenti e della durata totale di ventiquattro minuti: “Charcoal Grace I-IV” rappresenta proprio il cuore dell’album, con i due momenti posti in apertura e chiusura, “Prey” e “Give Me Hell”, che, più duri e pesanti, si avvicinano ai Porcupine Tree di “Fear Of A Blank Planet”, mentre la parte centrale, composta da “A World Without” e “Vigil”, è più affine ad un prog rock tradizionale stile Marillion che, almeno tematicamente, devono aver fornito materiale d’ispirazione per la stesura del brano con la loro “Childhood’s End”.
Altri episodi, soprattutto il singolo “Golem”, sono più immediati e di più facile presa, ma non per questo banali o meno incisivi, integrandosi alla perfezione nel tessuto emotivo del disco.
Definire “Charcoal Grace” l’album più maturo dei Caligula’s Horse è sicuramente una forzatura, poiché stiamo parlando di una band che la piena maturità l’ha già raggiunta da un pezzo; però, nei suoi solchi, qualcosa di differente dal passato c’è, ed è una profondità che i quattro non avevano mai toccato, frutto di un fervore veramente forte e tangibile. Una delle vette in assoluto di una discografia che finora non ha conosciuto cedimenti.