8.0
- Band: CALIGULA'S HORSE
- Durata: 01:01:52
- Disponibile dal: 15/09/2017
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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Con la loro precedente release “Bloom”, terzo full-length della band progressive australiana, i Caligula’s Horse si erano fatti conoscere da un pubblico più ampio, almeno qua nel vecchio continente. Già perché in realtà pare che, nella loro terra d’origine, i Nostri siano già ad un livello notorietà discreto. Da un lato l’essersi accasati con l’ottima InsideOut, label da sempre molto attenta alle sonorità progressive e d’avanguardia, certamente li ha aiutati, dall’altro l’essersi imbarcati in un tour ben riuscito in Europa in compagnia di un gruppo importante come gli Shining (NOR), insieme a varie date singole aprendo a band come Opeth e Tesseract, ha contribuito a creare attorno a questo gruppo un buon livello di interesse. L’essere conosciuti per un gruppo è fondamentale, ma da un certo punto di vista il successo può essere compromettente creando un po’ di pressione. Già, perché un album ben riuscito, specie quando si è dei mezzi sconosciuti, è un conto, ma quello che rende un gruppo grande è proprio continuare a produrre buona/ottima musica quando il pubblico inizia a seguirlo, e quindi ad avere delle aspettative più o meno alte. Come tutti quelli che avevano goduto sulle note di “Bloom”, e riscoperto anche il vecchio materiale, grazie alle ristampe uscite di recente, chi scrive si è approcciato a questo disco con una certa aspettativa: ci si attendeva insomma qualcosa di bello, forse ci saremmo ‘accontentati’ anche di un disco sullo stesso livello di ispirazione ed emotività del predecessore; e invece questi ragazzi, se possibile, sono riusciti a migliorarsi ulteriormente piazzando un vero e proprio colpo da maestri e navigando a vele spiegate verso l’olimpo delle band di riferimento in questo genere. “In Contact” è un album maturo, evoluto, completo, estremamente ispirato e coinvolgente, emotivamente trascinante, complesso ma accessibile. Insieme a Leprous e Pain Of Salvation, certamente parliamo di una delle uscite più memorabili in ambito progressive di questo 2017. Prima di parlare delle influenze musicali dei cinque di Birsbane si segnala il primo cambio di line-up dal 2011, dato che batterista e secondo chitarrista sono stati sostituiti da Josh Griffin, seduto dietro alle pelli e da Adrian Goleby alla sei corde. Nonostante ciò il suono è rimasto pressoché inalterato nella sua riconoscibiltà, grazie ai membri fondatori Sam Vallen e Jim Grey (rispettivamente chitarra e voce). Abbiamo usato il termine ‘riconoscibilità’ perché, uno dei principali aspetti esaltanti di “In Contact”, e in generale della musica targata Caligula’s Horse, è questa loro capacità di prendere influenze ben tangibili e interpretarle alla loro maniera. Si odono echi di TesseracT in certe ritmiche sincopate, così come si percepisce che il gusto melodico dei Leprous ha contribuito ad ispirare le linee vocali. Tuttavia il suono che ne deriva ha un trademark ormai ben definitivo, nel suo essere un sognante compromesso tra modernità e digressioni progressive dal retrogusto retrò. Due parole in più crediamo che le meriti un vocalist come Jim Grey, la cui voce è probabilmente una delle ugole più evocative, mature ed empatiche che ci sia capitato di sentire da un po’ di anni a questa parte (l’ultima così incisiva, a parere di chi scrive, è proprio quella di Einar Solberg dei già citati Leprous, che ad oggi comunque rimane ancora su un livello – tecnico ed emozionale – superiore). Prima di un cenno alla tracklist ci preme ricordare che “In Contact” è un concept album sulla natura e la creatività, sul modo in cui gli elementi naturali si collegano agli esseri umani dando vita all’arte in senso lato. L’album si divide in quattro capitoli, peraltro piuttosto riconoscibili anche da un punto di vista sonoro, in cui diversi personaggi raccontano le loro esperienze personali, le loro speranze e le loro tragedie. La tracklist è tutta quanta degna di nota ma in particolare è nel trittico iniziale che i Caligula’s Horse ci dimostrano di essere in grado di toccare vari livelli di scrittura ed emotività, riuscendo a comporre diverse stratificazioni di sensazioni, donando immediatamente l’idea all’ascoltatore del suono del disco, scavando sin dalle primissime note nel profondo dell’animo e percorrendo il filo conduttore del platter. “Dream The Dead” è un brano più lungo e ricco di digressioni strumentali, momenti di pathos e linee vocali in grado di accapponare i peli sulle braccia anche del più insensibile degli ascoltatori. “Will’s Song (Let The Colours Run)” è un brano più movimentato e frizzante, forse uno dei più tesseractiani del lotto, con un riffing bello serrato e una ritmica incalzante e compatta. “The Hands Are The Hardest” è invece un episodio più cangiante e caleidoscopico, un brano dove si percepiscono nettamente sensazioni positive e atmosfere iridescenti, con questo episodio i Nostri sembrano volerci dimostrare proprio le loro capacità di comporre musica positiva dopo i momenti più riflessivi della opening track e quelli più rabbiosi del secondo brano. Da un lato saremmo tentati dal proseguire con la descrizione delle varie tracce, ma faremo giusto un cenno alla conclusiva ed epica “Graves” che è un brano assolutamente memorabile, nonché uno dei pezzi migliori del disco: con i suoi quindici lunghi minuti di durata è la summa di tutto ciò che di buono si è sentito fino ad ora, c’è la tragica sacralità, ci sono le aperture abbaglianti, le ritmiche sincopate, le suite strumentali, le atmosfere eteree e via discorrendo. Il resto della tracklist preferiamo che sia l’ascoltatore a scoprirla. Sappiate che i Caligula’s Horse hanno puntato in alto, componendo un lavoro ambizioso sotto tutti i punti di vista, e hanno fatto assolutamente centro. “In Contact” nel suo genere è un piccolo grande capolavoro, dovete dargli una possibilità.