8.0
- Band: CALIGULA'S HORSE
- Durata: 00:57:10
- Disponibile dal: 22/05/2020
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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I Caligula’s Horse ormai non sono più una sorpresa: nati a Brisbane, Australia, nel 2011, hanno registrato quattro dischi senza mai sbagliare un colpo, ma anzi ottenendo un consenso crescente, fino ad arrivare alla definitiva consacrazione con “In Contact” del 2017. La band, pur andando incontro a qualche cambio di line up nel corso degli anni, ha sempre mantenuto una propria stabilità artistica, che le ha permesso di percorrere un cammino coerente e maturo, improntato ad una crescita graduale e senza grossi scossoni; sono arrivate così importanti conferme anche al di fuori dei ristretti confini della loro terra natale e tour con band del calibro di Opeth, Mastodon, The Dillinger Escape Plan e Anathema. Fatte queste premesse, si può considerare come il quintetto australiano si sia trovato a comporre il quinto disco, intitolato “Rise Radiant”, non più come outsider ma come realtà affermata nel panorama prog metal internazionale. Il nuovo album esce, come ormai da “Bloom” del 2015, per la tedesca Inside Out, etichetta sempre attenta a queste sonorità; il missaggio è stato affidato all’esperto Jens Bogren (Opeth, Leprous) mentre lo stesso Sam Vallen, chitarrista della band, si è fatto carico della produzione. “Rise Radiant” non stravolge quanto fatto finora e non aggiunge nulla di particolarmente diverso, ma approfondisce le radici dell’ensemble, risultando fresco ed ispirato. Il punto di partenza è sempre un prog metal complesso e ricco di stratificazioni, le cui influenze possono essere ricercate in gruppi come Dream Theater, King Crimson, Haken, Opeth, Pain Of Salvation, giusto per citare solo le più evidenti: tutte queste idee sono rielaborate in modo del tutto personale e perfettamente amalgamate, con un’impronta riconoscibile. Le performance dei singoli strumentisti sono di livello altissimo ma non stucchevoli o sopra le righe, grazie ad un songwriting che permette loro di comporre pezzi diversificati, emozionali e ricchi di dettagli che si scoprono dopo ripetuti ascolti. Rimarchevole l’operato del già citato Sam Vallen che spesso compone l’asse portante del suono dei Caligula’s Horse, con bordate chitarristiche che ricordano a volte addirittura i Meshuggah: forse la maggior pesantezza della sei (spesso sette) corde è la differenza principale rispetto agli album precedenti. L’effetto che però ne scaturisce è completamente diverso da quello claustrofobico creato dalla band svedese, anzi la presenza di ambientazioni più classicamente prog rock, talvolta quasi orchestrali (l’opener “The Tempest”), nonchè di momenti propriamente rock, crea un effetto di ariosità e leggerezza. Contribuisce a tutto ciò anche l’ottima prova alla voce di Jim Grey che, oltre alla tipica alternanza tra parti più melodiche ed altre più potenti, fa sovente ricorso ad una sorta di falsetto che può portare alla mente il cantato dei Leprous. Questa mescolanza di chiari e scuri era un obiettivo della band, intenzionata ad esplorare uno spettro musicale il più ampio possibile, dando luogo nello stesso momento alla loro opera più violenta e più toccante, ed in particolare due brani sembrano essere agli estremi di questo spettro: “Slow Violence”, a conferma del titolo, è il pezzo più energico del disco, contraddistinto da un riff sincopato che pare uscito da un album nu metal; “Autumn”, invece, è una ballata notturna e malinconica. Molto curati e profondi anche i testi, mai di facile interpretazione, che sembrano avere come filo conduttore una certa spiritualità. In chiusura ben due bonus track, entrambe cover: “Don’t Give Up” di Peter Gabriel e “Message To My Girl” degli Split Enz, band neozelandese popolare tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. “Rise Radiant” non è solo una conferma, ma un progetto tanto ambizioso quanto riuscito che permetterà ai Caligula’s Horse di entrare nel ristretto novero di band in grado di dare nuova linfa e nuove idee ad una scena prog metal che, in questo momento, è già ricca e variegata.