7.5
- Band: CANAAN
- Durata: 01:05:53
- Disponibile dal: 01/01/2024
- Etichetta:
- Toten Schwan Records
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La musica, per essere davvero ricordata, tante volte deve avere un contesto e fruire di elementi extramusicali. Senza scomodare il vasto mondo del rock mainstream, nei vari sottomondi del rock questo concetto è diventato evidente molti decenni fa. Cosa sarebbe il black metal senza Satana o senza il contorno mediatico della seconda ondata? Cosa sarebbe l’hardcore dei primi anni Ottanta senza le storie di violenza, droga, di povertà e di autoproduzione? Gli esempi possono essere infiniti, ma in entrambi i casi da noi citati possiamo rispondere che sarebbe comunque buona musica.
‘Comunque’: è in questa parola, a nostro parere, che si annida la risposta completa – al netto del fatto che le sette note e i loro infiniti intrecci restano sempre il fulcro, serve molto spesso qualcosa d’altro per consegnarsi alla leggenda, una presenza che vada, forse, oltre alla musica.
Tutto sommato però, tornando al nostro piccolo mondo del metal e dintorni, le leggende possono nascere da contesti diversi e possono vivere di dimensioni differenti. Non devono per forza includere milioni di copie vendute, biografie (magari postume, che fa ancora più ‘culto’) o un riconoscimento da un numero molto elevato di persone. Le leggende nel metal possono essere quasi private, possono far riferimento a pochi dischi sparsi nel tempo e a storie incompiute o misteriose. Possono essere addirittura, a differenza della musica più mainstream, leggende di ‘assenza’.
E’ questa a nostro avviso la parola chiave per capire i Canaan e questo loro nuovo ennesimo, ostinato ritorno.
La creatura Canaan vede Mario Berchi (attivo anche come Eibon Records) da sempre al timone, ed è ormai un’entità musicale che vive completamente di assenze: la posizione della band milanese è fondamentalmente quella di ‘non esserci’ – mediaticamente e su un palco – e lasciare ogni tanto qualche disco qua e là, come briciole di un sentiero difficilissimo da seguire. A volte gli album si distanziano poco nel tempo, a volte molto di più; le loro apparizioni sul mercato però hanno sempre lasciato il segno negli ascoltatori e la leggenda, in qualche modo, continua sempre. L’ultima volta è stato per “Images From a Broken Self”, ormai datato 2018; da lì al 2024, come si dice, è un’attimo. O forse no.
Passiamo ora a arrivare a parlare, per quanto possiamo essere in grado, “Ai Margini”. E’ ancora darkwave, è ancora quasi ambient, è ancora a base elettronica, con degli spoken word veri e propri infilati qua e là, come striminzite poesie nichiliste. Ma soprattutto, è ancora in italiano, come il bellissimo “Il Giorno Dei Campanelli”. In tutto questo, i Canaan fanno ancora i Canaan, nella maniera migliore: creano musica fredda, disperata, malsana, ma allo stesso tempo lo fanno – stavolta anche musicalmente – ‘in assenza’. Ancora più che in passato, qui non troverete urla o chitarre distorte, ma una darkwave rassegnata che accompagna l’ascoltatore in un mondo fortemente senza speranza.
Se, ignorando le emozioni che i Canaan suscitano, ci vogliamo attaccare alla struttura musicale, in “Ai Margini” ci sono parti di percussioni vicine al trip-hop (“Un Attimo Per Fare Del Male”); la componente coldwave è decisamente in evidenza rispetto ad altre opere di Berchi che erano più arrangiate e complesse nelle strutture (un paio di momenti, tipo in “Come Un Buco Nel Cielo”, ricordano perfino l’oscuro secondo CD di “Of Prisoners”); ci sono accenni un pochino più industriali (“L’eterno Assente”); la presenza della voce – ricordiamolo, in italiano – è quasi tutta relegata al parlato (“La Città Che Respira”), mentre nei dischi passati ci eravamo affezionati a parecchie, seppur trattenute, melodie vocali. Ci muoviamo quindi lontani dalle influenze di Battiato e di un certo cantautorato per avvicinarci invece ai Massimo Volume e nel complesso, guadagniamo in oscurità e – ancora una volta – in assenza.
Questo nuovo album è così decostruito e minimalista che ci perdiamo anche qualsiasi struttura vagamente metal, che almeno fino a “Of Prisoners” ogni tanto avevamo avuto. Musicalmente quindi “Ai Margini” decide di non ripetere il passato recente, ma di mostrarsi scheletrico, essenziale, nerissimo e senza alcuna luce. E’ un disco davvero da sentire, questo ritorno dei Canaan, anche se magari di elettronica, ambient e darkwave non vi nutrite. E’ da sentire semplicemente perché il dolore e l’isolamento hanno molti modi per essere comunicati, parecchi decisamente non metal.
Anche se “Ai Margini” è un disco più difficile del solito da assimilare all’interno del non facile percorso musicale di Mauro Berchi, vi consigliamo fortemente di provarci. In fondo, la leggenda dei Canaan nasce proprio da qui. Dalla loro assenza.