CANDLEMASS – Chapter VI

Pubblicato il 11/02/2022 da
voto
9.0
  • Band: CANDLEMASS
  • Durata: 00:46:24
  • Disponibile dal: 25/05/1992
  • Etichetta:
  • Music For Nations

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Saremo onesti: “Chapter VI” non è il primo disco che ci viene in mente pensando ai Candlemass, e neanche il secondo. Eppure il primo album dell’era ‘dopo Marcolin’ (e del nuovo decennio, i difficili anni ‘90) è tanto bello quanto bistrattato. Sebbene quattro quinti della line-up di “Nightfall” siano infatti ancora ben saldi al proprio posto, è come se tutto fosse cambiato. Il frontman è per definizione una figura fondamentale per qualsiasi rock band, e tanto più è carismatico ed amato dal pubblico, tanto più sarà difficile gestire il ‘post’ rottura tra lui e la band. Sembra un’ovvietà, ma è ciò con cui Leif Edling, leader e bassista dei Candlemass, ha dovuto fare i conti a seguito dell’allontanamento di Messiah Marcolin nel 1991, dopo un lungo tour immortalato sul doppio live intitolato semplicemente “Candlemass – Live” e vari screzi di natura personale ed artistica. Poco importa per i fan che sia Edling il compositore unico di tutti gli album, nonché fondatore del gruppo: l’imponente cantante di origini veneziane ha conquistato menti e cuori con il suo cantato intenso, passionale e totalizzante e una presenza scenica che si fa ricordare.
È da queste premesse che nasce “Chapter VI”, un disco scritto pensando di avere ancora il talentuoso quanto egocentrico cantante italio-svedese dietro al microfono, un ruolo che verrà invece ricoperto dall’allora sconosciuto Thomas Vikström, qui nella sua prima e unica prova coi Candlemass . Figlio d’arte, Vikström arriva dal teatro e dal musical, e più tardi militerà nella power metal band Stormwind e nei Therion, dove canta come tenore dal 2009. Dotato di una tecnica sopraffina, il biondo cantante è chiamato al difficile compito di non far rimpiangere chi lo ha preceduto. E ci riesce in maniera quasi sorprendente: il suo timbro è versatile ed esteso, e il suo stile – più asciutto di quello di Marcolin – si sposa benissimo con le nuove composizioni, anch’esse meno magniloquenti e massicce nonostante le tastiere siano parte integrante di tutto il lavoro. Croce e delizia del disco, queste ultime sono forse usate in maniera un po’ ingenua ma per fortuna mai eccessiva, restando tendenzialmente in secondo piano rispetto alle trame di chitarra, che sono ancora una volta eccellenti.
“The Dying Illusion” è un biglietto da visita fantastico: un up-tempo trascinante che rallenta in occasione del ritornello; affascinante e spettrale, non è solo uno dei brani migliori del lotto, bensì dell’intera carriera degli svedesi; la coppia Johansson e Björkman è in ottima forma e sfodera assoli memorabili, qui come lungo l’intero lavoro. “Julie Laughs No More” è un brano roccioso, tra i più diretti e semplici in assoluto, nel quale la matrice doom resta sottotraccia in favore del più puro heavy metal. È una caratteristica comune a tutto “Chapter VI”, che in generale si distacca dal cosiddetto ‘classic doom’ che i Nostri hanno di fatto creato per dare più spazio ad un heavy metal dalle tinte decisamente oscure, il tutto riuscendo comunque a suonare Candlemass al 100%.
“Where The Runes Still Speak” è senza dubbio il pezzo più bello, quello che da solo vale il disco: lento e atmosferico, racconta del viaggio – sia effettivo che metaforico – di un uomo verso le proprie origini pagane (“nessun predicatore può dirmi chi io sia/il sangue mi chiama da Asland/alla fine sono sulla strada di casa”). Qui Vikström dimostra una volta di più di poter raggiungere tonalità altissime ma anche di restare agevolmente nei toni bassi, quasi recitativi, con voce pulita e graffiante allo stesso tempo. È un’epicità brumosa e disperata, il grido di un uomo che ha lasciato per ritrovare sé stesso lontano dalla civiltà moderna. Riprendiamo velocità con “Ebony Throne”, altro gioiellino heavy-doom dal ritornello perfetto che sfocia nella lunga e articolata “Temple Of The Dead”, sorretta da riff killer che si inanellano uno dentro l’altro regalando un senso di avventura, il pericoloso navigare verso culti lontani e mondi ultraterreni. In chiusura troviamo altri due episodi di heavy metal quasi puro: “Aftermath”, dura e rocciosa benché venata di acustico, e “Black Eyes”, una cavalcata minacciosa nella quale Thomas Vikström dimostra nuovamente la propria versatilità espressiva. Chiude l’album “The End Of Pain”, che abbastanza curiosamente non trova spazio sull’edizione in vinile. Non si tratta di un filler, bensì di un pezzo perfettamente in linea col resto del materiale, anzi dotato di un ottimo ritornello.
Purtroppo questo sesto capitolo è rimasto schiacciato dai giganti che lo precedono, vittima di un’accoglienza scettica da parte del pubblico e di tensioni interne, tanto da essere stato dimenticato per molto tempo dallo stesso Edling. Aggiungiamo che nulla, a livello grafico, ha aiutato. Via lo storico logo in caratteri gotici e le copertine che trasudano arte ed epicità al primo sguardo, in favore di una cover totalmente anonima: parole incomprensibili vergate in una grafia medievale e simboli stilizzati (tra cui una croce di Ankh) in grigio su fondo nero sono lo sfondo su cui si stagliano nome e titolo, scritti nel font più anonimo disponibile. L’impatto visivo è decisamente tiepido e lo stesso ‘Chapter VI”, più che comunicare una forte rottura con il passato, suona come un ‘non-titolo’ o un titolo provvisorio. Le premesse per un insuccesso insomma c’erano tutte, e così è stato, tanto che dovranno passare ben sei anni prima che veda la luce un nuovo lavoro dei Candlemass, e con una line-up totalmente stravolta.
Peccato, perché questo è un disco che merita di essere riascoltato ed apprezzato senza riserve, un piccolo gioiello oscuro che, con altre condizioni al contorno, avrebbe raccolto consensi infinitamente maggiori. Da riabilitare senza se e senza ma.

TRACKLIST

  1. The Dying Illusion
  2. Julie Laughs No More
  3. Where The Runes Still Speak
  4. The Ebony Throne
  5. Temple Of The Dead
  6. Aftermath
  7. Black Eyes
  8. The End Of Pain
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