7.5
- Band: CANDLEMASS
- Durata: 00:50:13
- Disponibile dal: 08/06/2012
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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E così anche i Candlemass hanno deciso di mettere fine alla loro straordinaria carriera costellata di capolavori; lo fanno pubblicando questo “Psalms For The Dead”, lavoro che si inserisce nella falsariga dei due album precedenti, ma che suona ma assai meno doom rispetto a “King Of The Grey Island” e “Death Magic Doom”. Infatti, Leif Edling incrementa in maniera massiccia le partiture mutuate dall’heavy classico – figlie dirette degli Heaven And Hell e del Ronnie James Dio di “Magica” – e quelle hard rock, che ripescano a piene mani dal repertorio straordinario di Deep Purple ed Uriah Heep. Naturalmente, il tutto viene riassemblato sotto un’ottica epic doom che da sempre è il trademark dei Nostri. Sin dall’iniziale “Prophet” è ben chiaro che gli svedesi paiono volere ripercorrere tutte le tappe della loro esistenza, partendo proprio dal loro amore per i Seventies, passando per l’indubbia influenza della NWOBHM ed arrivando naturalmente al doom che loro stessi hanno contribuito a forgiare nel metallo più incontaminato e classico. Vi sono anche episodi più tetragoni e canonici all’interno del platter, quali “The Sound Of Dying Demons”, “Waterwitch” e “The Lights Of Thebe”, quest’ultima fin troppo autocitazionista e memore dei capolavori di “Nightfall”; nel complesso, però, l’album è decisamente quello più vocato verso il metallo e l’hard rock che la band abbia mai composto. Le tastiere suonate da Carl Westholm sono veramente onnipresenti ed ammantano il tutto di un flavour settantiano mutuato soprattutto dagli Uriah Heep: ascoltate l’eccellente “Dancing In The Temple (Of The Mad Queen Bee)” per credere! La title track è un’altra canzone particolarmente riuscita, che alterna momenti di quiete ad esplosioni epiche di discreta magniloquenza, mentre “The Killing Of The Sun” è un classico mid tempo candlemassiano a metà strada tra il doom ed il rock. In chiusura, troviamo lo splendido doom liturgico di “Siren Song”, graziato dall’hammond di Per Wiberg, e la lunga “Black As Time”, a cavallo tra hard rock settantiano e tentazioni uscite da “Tales Of Creation”. Nuovamente, il grandissimo Robert Lowe riesce a convincere ogni qual volta apra bocca, trovandosi perfettamente a proprio agio su questo tipo di sonorità; il fatto che ora sia stato sostituito da Mats Levén a causa di una scarsa vena in sede live non inficia assolutamente quanto fatto su album; casomai, sottolinea l’estrema professionalità di una band che fino alla fine esige il meglio da sé stessa. Anche i quattro musicisti comunque non sono da meno del cantante, sfoderando performance solidissime ed estremamente accurate. Insomma, forse in molti si sarebbero aspettati una chiusura più ossianica, magari una sorta di “Epicus Doomicus Metallicus” riaggiornato al 2012; invece i Candlemass scelgono una strada differente, ma altrettanto affascinante. Certo é che la quasi contemporanea scomparsa dalle scene loro e dei Cathedral segna un punto di arrivo per il doom così come lo avevamo conosciuto oggi. Vedremo ora chi sarà a raccogliere il testimone. Grazie di tutto Candlemass, ci avete regalato momenti indelebili e vette liriche che in pochi sono riusciti a toccare con la vostra continuità.