8.5
- Band: CANNIBAL CORPSE
- Durata: 00:43:52
- Disponibile dal: 15/09/2014
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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È trascorso un quarto di secolo dal folgorante esordio ufficiale degli allora imberbi Cannibal Corpse. Era il 1990 e i ragazzi di Buffalo riuscirono a far breccia nei cuori e nelle menti di una intera generazione con un suono ed un immaginario squisitamente barbarici. Giovani e ovviamente anche immaturi per certi versi, i Nostri si fecero rapidamente largo nella emergente scena death metal dell’epoca con la sola forza della passione e con un entusiasmo che da allora ha veramente di rado accennato a scemare. Non a caso, oggi, a distanza di dodici album, fra cui tanti capitoli ormai considerati celeberrimi, i Cannibal Corpse ritornano con un disco davvero magnifico. Dall’uscita del precedente “Torture” hanno atteso solo due anni per proporci nuovi brani, ma il tempo trascorso è stato evidentemente più che sufficiente. Le dodici tracce di “A Skeletal Domain” ci offrono una formula di rara efficacia e intensità. Il suono è compatto, sicuro. L’iniziale “High Velocity Impact Spatter” è assolutamente entusiasmante. Un chorus subito riconoscibile e un approccio orecchiabilissimo per nulla inedito nella produzione della band (basta pensare ad una recente hit istantanea come “Make Them Suffer”) introducono come meglio non si poteva all’ascolto di un’opera che con la successiva “Sadistic Embodiment” spinge ulteriormente sull’acceleratore di una formula a metà strada fra le fiere reminiscenze slayeriane e quei sottili tecnicismi a cui i Nostri hanno iniziato a ricorrere da una manciata di dischi a questa parte. Ascoltate “Headlong into Carnage” per averne ulteriore conferma. “The Murderer’s Pact” ci scaraventa in un vortice di riff più cupi del solito, ma arricchiti da intarsi sonori che manifestano la chiave di volta di un nuovo approccio emozionale. Il disco in effetti è un arabesco di chiaroscuri death metal, incredibilmente intenso. Una potente, emozionante spinta interiore guida tutto “A Skeletal Domain”. Il lavoro di chitarra lascia spesso a bocca aperta, pregno di una nuova, consapevole maturità creativa ed espressiva. A differenza di tanti colleghi e/o cosiddette vecchie glorie (Obituary? Deicide?), i Cannibal Corpse non hanno quasi mai smesso di guardare avanti e di provare a migliorare come compositori e musicisti. Gli elementi chiave del loro stile – i riff ad uncino, i rallentamenti improvvisi e le successive ripartenze – sono ora il punto di partenza dal quale sviluppare un suono sempre più vitale ed ingegnoso. Alex Webster, Pat O’Brien e Rob Barrett hanno fatto enormi passi in avanti in tutto questo tempo: il loro riffing e i giri di basso non sono mai stati così estrosi e ricchi di finezze, ma il tutto possiede anche un’impronta sempre digeribile che rimanda alla vecchia scuola. Tecnica al servizio dei pezzi, senza esagerare, anche perchè il buon Paul Mazurkiewicz alla batteria è invece rimasto il solito trattore: incapace di offrire chissà quali impennate di classe, ma eternamente solido e funzionale. È questo compromesso fra inventiva e robustezza a rappresentare il vero segreto dei Cannibal Corpse del 2014: mai come ora il gruppo lavora di cesello su riff e armonie per poi appoggiare il tutto su una ritmica bulldozer. “A Skeletal Domain”, proprio come il “trio della rinascita” – “Torture”, “Evisceration Plague” e “Kill” – è un album straordinariamente vivo. Il passato è parte di questo splendido presente. Alla purezza degli esordi si aggiunge la raggiante maturità, artistica ed esistenziale, di una band di grandissimi veterani che letteralmente vivono per questo genere di musica e che fanno sempre di tutto per restarne ai vertici. La disarmante miscela di profondità e impatto di “Kill Or Become” può forse essere considerata la summa non solo di un disco, ma di una lucida presa di coscienza di cosa il death metal “classico” sia in grado di offrire quando maneggiato con freschezza e intelligenza. Un grande ritorno. Una bella lettera da un vecchio amico. Scritta con il sangue.