8.0
- Band: CANNIBAL CORPSE
- Durata: 00:36:31
- Disponibile dal: 01/07/1991
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Siamo all’inizio degli anni Novanta, negli USA: la crisi di alcuni valori fondanti del decennio precedente è appena cominciata e tale processo viene raccontato da chiunque abbia mezzi per esprimersi; tra i musicisti c’è chi sceglie di combattere una battaglia, proclamando il carattere comune del problema, e chi – semplicemente – descrive i fatti dal suo punto di vista, magari adoperando delle metafore debitamente efficaci. I Cannibal Corpse, nativi di Buffalo (NY), si inseriscono in quest’ultimo filone: la loro tecnica di rappresentazione si fonda sull’estetica della carne maciullata e mortificata, trasposizione di una società putrescente e svilita dall’eccesso di facciate. “Butchered At Birth” è il secondo album della band e, come si addice ad ogni gruppo destinato alla grandezza, presenta degli evidenti segni di evoluzione dalla registrazione precedente: il carattere di maggior risalto è l’emancipazione dal modello base Slayer-Death di “Eaten Back To Life” per giungere ad un nuovo e più personale punto di vista sugli aspetti brutali della musica. Ciò non significa, come per alcuni gruppi coevi, brani veloci al parossismo, esasperazione della formula base del thrash, ma canzoni dalle strutture più elaborate, la cui cifra tecnica è asservita allo scopo principale di aggredire come solo può fare un pazzo sensorialmente ed intellettualmente limitato. Ecco, quest’immagine è fondamentale per intendere la musica dei Cannibal Corpse, ieri come oggi: non si tratta di qualcosa che poggia su grandiose e terrorizzanti atmosfere maligne, ma semplicemente di qualcosa che risiede nei nostri istinti più remoti e ferali. La voce di Chris Barnes, scesa ulteriormente di alcune ottave per l’occasione, è certamente la prima faccia di questo prisma con cui entrerete in contatto: essa non inscena un’infuocata accusa contro qualche tipo di morale, piuttosto evoca il sordido gorgoglio che avvertite dentro quando i vostri imperativi categorici si confondono con la fame. Ovviamente questa non è che la prima chiave di lettura del gruppo, di cui non si può tralasciare il nero humour e la vivace ironia con cui mediano le loro visioni agli occhi del pubblico: il risultato è assai affine ad una codifica musicale della cinematografia horror di serie b, con speciale supporto delle cover scelte (vi ricordiamo che quelle dei primi tre album sono tra le più censurate della storia del rock). Il songwriting presentato in “Butchered At Birth” è in grado di rendere tutte queste idee e inclinazioni in maniera decisamente buona: i tratti comuni di ogni canzone sono strutture elaborate, riffoni compressi e per l’epoca inediti (che contribuiranno a far nascere “l’archivio storico dei riff brutal”), un groove massacrante come colpi di maglio sulle ossa e una marcata personalità che contribuisce a rendere riconoscibile il loro sound in tutto il mondo. Di pezzi come “Living Dissection” e “Under The Rotted Flesh” ancora oggi si apprezzano i rallentamenti e il carattere ossessivo in grado di trasmettere sensazioni di allarme, mentre di un pezzo come “Rancid Amputation” si può gustare la sotterranea vena thrash; ci sono poi quei pezzi diventati dei classici live, tipo “Meathook Sodomy” e “Covered With Sores”, con i suoi repentini cambi di tempo, e – infine – preziose chicche come la comparsata di Glen Benton in “Vomit The Soul”. A onor del vero va detto che la batteria può risultare poco fantasiosa (mai sprecisa, comunque), ma si tratta di un qualcosa talmente integrato nel suono dei Cannibal Corpse da essere percepibile come tratto caratteristico; è molto più sensato, dunque, considerare che tutti gli sforzi creativi non sono ancora collimati alla perfezione, per cui, qua e là, possono capitare fasi in cui la rifinitura di una canzone finisce con limitarne il dinamismo, come accade per la titletrack. Il rimedio è comunque a portata di mano, visto che i capolavori (“Tomb Of Mutilated” e “The Bleeding”) sono dietro l’angolo e risultano tali anche per il loro dinamismo. Chi prova inestinguibile affetto per anni in cui un gruppo death che riusciva a fare un passo oltre l’anonimato era già di fronte al bivio tra grandezza e culto, non può negare che i “veri” Cannibal Corpse siano questi, la cui musica è magari meno lavorata ma assai più “pericolosa”.