7.5
- Band: CANNIBAL CORPSE
- Durata: 00:38:48
- Disponibile dal: 03/02/2009
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Se il 2008 è stato a tutti gli effetti un anno d’oro per la musica estrema, con l’uscita quasi contemporanea dei lavori dei Cattle Decapitation e dei Cannibal Corpse anche questa nuova annata si preannuncia quantomeno interessante. Su “Evisceration Plague” erano riposte delle aspettative altissime, soprattutto dopo un lavoro eccellente quale era il precedente “Kill”. Ebbene, tali aspettative non sono certo andate deluse! Il nuovo album è grosso modo all’altezza del suo predecessore, sebbene non ne sia una mera copia, alla faccia di tutti coloro che pensano che i Cannibal Corpse si limitino a fare uscire buone cose ma tutte uguali. Se “Kill” era un macigno di granito che veniva scagliato addosso all’ascoltatore a tutta velocità, “Evisceration Plague” è più composito, decisamente più vario e a tratti addirittura catchy e con un senso della melodia più marcato. Le prove dei singoli sono quasi tutte di buon livello: bene la sezione ritmica, sempre precisa e potente; benissimo il guitar work sia in fase solista che ritmico; male, invece, decisamente male la prova di George Fischer, unico vero neo in un insieme perfetto. Peccato, perché il buon Corpsegrinder aveva dimostrato su “Kill” di riuscire a “growlare” molto bene (anche se non come Barnes), mentre oggi appare monocorde e a tratti quasi svociato. Per fortuna il resto della band è in forma smagliante e compensa alle carenze del singer. La tracklist è piuttosto varia e si passa da episodi selvaggi come le iniziali “Priests Of Sodom” e “Scalding Hail” ai passaggi in mid tempo dell’ottima “A Cauldron Of Hate”, fino ad arrivare alla titletrack, che è una traccia lenta e malefica non proprio ortodossa per la band, e ai rallentamenti paludosi inseriti nella conclusiva “Unnatural”. Il disco non presenta alcun filler: tutti i brani meritano di farvi parte e sono nobilitati da alcuni assoli di pregevole fattura, senza dubbio tra i migliori mai partoriti dalla band. Citiamo per tutti il guitar work di “Shatter Their Bones”, dove la solista e la ritmica si compensano in maniera efficacissima, mantenendo alto il tasso adrenalinico della canzone. Rispetto a “Kill” forse manca un brano come “Make Them Suffer” che da solo identificava l’album, ma di contro qui c’è l’imbarazzo della scelta ed ognuno deciderà secondo proprio gusto quale sarà il suo brano preferito tra i dodici presenti. Ancora una volta quindi, dopo vent’anni di onoratissima carriera, siamo qui a tessere gli elogi dei Cannibal Corpse, veri e propri miti viventi del death metal e sinonimo di altissima qualità musicale. A noi rimane il grande piacere di poter ancora ascoltare musica di tale qualità e verificare volta dopo volta che, Fisher a parte, i floridiani invecchiano bene come un buon vino rosso. Rosso sangue, ovviamente.