7.5
- Band: CANNIBAL CORPSE
- Durata: 00:46:23
- Disponibile dal: 03/11/2017
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Da una dozzina d’anni a questa parte, i dischi dei Cannibal Corpse sono stati tutto fuorchè una scialba appendice al loro repertorio. Dopo un breve periodo di leggero appannamento nei primi anni del nuovo millennio, gli statunitensi sono inaspettatamente riusciti a compiere un nuovo salto di qualità, trovando in “Kill” quella pietra miliare che da qualche tempo mancava nella loro discografia, per poi mantenersi su livelli decisamente degni di nota con le opere immediatamente successive. Si può dire che il gruppo di Alex Webster sia sempre molto riconoscibile, ma ciò non significa che ognuno dei suoi ultimi album sia un copia-incolla degli altri: vi è sempre quel qualcosa in grado di renderli a loro modo caratteristici, sia esso un approccio tecnico un po’ più marcato del solito o una diversa scelta di produzione. Con l’ultimo, eccellente, “A Skeletal Domain” la tipica carica viscerale del death metal del quintetto era stata ripetutamente affogata in un’atmosfera più lugubre del solito, dando vita a delle sovrastrutture che in alcuni casi ne avevano egregiamente ampliato spessore e longevità. Il nuovo “Red Before Black”, invece, pur tenendo un piede nel modus operandi dell’ultimo decennio (da segnalare il ritorno del produttore Erik Rutan dietro alla console), prova ad avventurarsi in territori più vicini al sound degli esordi, innescando alcune scorribande venate di thrash che non si sentivano da diverso tempo. La spontaneità di un “Eaten Back To Life” è ovviamente lontana e la maturità raggiunta in quella che è ormai una carriera monumentale non può certo essere soppressa da un momento all’altro, tuttavia brani come “Only One Will Die” e la titletrack sanno ben dimostrare che ciò che dà colore a questo disco è spesso un’indole estremamente diretta e lineare, quasi slayeriana, nei riff di chitarra e nei suoni. Sembra che con “Red Before Black” il gruppo abbia voluto puntare su un impianto maggiormente “live”, riscoprendo parte di quella barbarità che tanto l’aveva resa celebre nei primi anni di carriera, ed essendo oggi i Cannibal Corpse assodati maestri nello scrivere canzoni, l’obiettivo è raggiunto con ampia sufficienza. L’ispirazione alla base del songwriting è infatti grosso modo quella degli ultimi anni, tanto che l’album si rivela snello, fluido, spontaneo e radicato nei marchi di fabbrica di tutte le fasi della carriera della band. La formazione statunitense non scade insomma in un “back to the roots” scontato e asettico, riuscendo invece a coniugare una indubbia linearità strutturale con quell’esperienza e quei tocchi di classe che hanno contraddistinto i suoi ultimi fortunati lavori. Vi è infine spazio anche per qualche piccola novità, vedi il finale tenebroso di “Hideous Ichor”, segno che, anche in un album crudo e schietto come questo, i Cannibal Corpse sanno sempre come fare sfoggio di una perizia non comune. La vecchia guardia può ancora una volta contare sui suoi leader indiscussi.