6.0
- Band: CARCASS
- Durata: 00:17:40
- Disponibile dal: 14/11/2014
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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I Carcass battono il ferro finché è caldo e si ributtano nuovamente sul mercato a poco più di un anno dal rientro in pompa magna di “Surgical Steel”. Pur generando pareri discordanti, il sesto album degli uomini di Liverpool ha trovato generalmente più consensi che stroncature, finendo in cima alle classifiche di preferenza per il 2013 dei metaller di tutto il globo. “SurgicalRemission / Surplus Steel”, come il titolo e la copertina fanno capire, non è altro che una raccolta di brani rimasti fuori dalla tracklist dell’ultimo full-length e si candida a diventare più un mero oggetto di collezionismo che un tassello imprescindibile nella discografia del gruppo. Ascoltando le quattro tracce proposte – la ripresa dell’intro di “Surgical Steel”, “1985”, non fa testo – si ha proprio l’impressione che, per quanto affini al death melodico levigato e thrasheggiante dei Carcass attuali, tali composizioni fossero state tagliate fuori dalla scaletta del disco per mera inadeguatezza. Molto semplicemente, senza avere difetti strutturali così catastrofici, non funzionano. O meglio, girano bene nella misura in cui potrebbero sembrare efficaci delle canzoni “alla Carcass” suonate da qualcuno che cerca di imitarli. Perché gli elementi tipici del sound dei Nostri ci sono tutti, dalle chitarre piene e melodiche in stile “Heartwork”, al solismo cristallino e ottantiano di Steer, al graffiante rantolo di Walker, fino alle ripartenze fulminee orchestrate dalla batteria di Wilding e al flavour rock di “Swansong”. Purtroppo, ancora più che in “Surgical Steel”, la produzione pulita di Andy Sneap mortifica la carica del quartetto che, già alle prese con del materiale non trascendentale, per una volta sembra una band qualunque. Il meglio è all’inizio, con “A Wraith In Apparatus” che si insinua morbosa con il basso pulsante di Walker a tirare le fila e il riffing old-school (in senso lato, non per forza death metal) di Steer a dare consistenza melodica e ritmica al pezzo. La metrica di Walker è calibrata al meglio per rapire l’ascoltatore e tenerlo incollato allo stereo, così che il brano, pur non avendo chissà quali armi a disposizione, finisce per convincere abbastanza, pur rimanendo a leghe di distanza da quasi tutto il materiale prodotto in passato. Già con “Intensive Battery Brooding” si barcolla: si fa strada un’impostazione chitarristica timidamente rockeggiante, alla “Swansong”, tramite la quale si propongono fraseggi lenti e ripetitivi per tutto il pezzo, perennemente adagiato su pattern ritmici molto controllati e piatti. Né le strofe né il refrain riescono a risollevare più di tanto le il livello di attenzione, che cresce leggermente dopo i primi tre minuti, quando i Carcass vanno finalmente a briglia sciolta e Steer piazza alcuni brevi solo ad effetto. “Zochrot” è un mid-tempo spezzettato giocato sul mordi e fuggi vocale di Walker alternato al riffing hard rock di Steer: gli attimi più pregevoli sono, non ci stancheremo di ripeterlo, gli interventi solisti dell’affilato chitarrista, mentre l’incedere a basso regime dà un effetto fastidiosamente cloformizzante. “Livestock Marketplace”, addirittura, non sembra nemmeno un pezzo dei Carcass: le proporzioni fra death e rock’n’roll si invertono, andando oltre quanto fatto udire in “Swansong”, e imboccando chiaramente una strada che col metal estremo ha poco a che spartire. Walker canta meno sporco del solito e i cori quasi in clean nel refrain confermano che tiri un’aria meno infestata di miasmi rispetto a quella che vorremmo annusare. Nulla di inascoltabile, per carità, ma non ci sembra che possa essere una mescolanza di questo tipo il modo migliore per evolversi; qualche voglia da rocker la possiamo far passare, ma quando si va a snaturare l’essenza dei Carcass come in questo caso, forse è meglio frenare gli istinti e riflettere meglio sulle proprie mosse. Crediamo che “Livestock Marketplace”, caratterizzata da un testo particolarmente corrosivo e dal retrogusto blues, alla fine rimarrà il classico esperimento da ep, mentre per – eventuali – passi successivi il quartetto si sforzerà maggiormente per essere all’altezza della sua fama. In poche parole, se vi vengono le asistolie al pensiero di avere un buco nella vostra collezione discografica carcassiana, fate vostro “Surgical Remission / Surplus Steel” senza indugi, altrimenti passate oltre a cuor leggero.