6.5
- Band: CARNIFEX
- Durata: 00:42:16
- Disponibile dal: 06/10/2023
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Neanche il tempo di riprendersi dal terremoto mediatico dell’ultimo Thy Art Is Murder – con la cacciata a sorpresa del frontman CJ McMahon e la scelta (discutibile) di ri-registrare le voci per la versione digitale dell’album – che i Carnifex, tra veterani del sempre discusso movimento death-core, si rifanno vivi con il nono capitolo della loro saga discografica.
Un ritorno che sa a tutti gli effetti di consuetudine e familiarità, sia per la costanza con cui la band di San Diego sforna i propri dischi, sia – ovviamente – per l’indirizzo stilistico riproposto di volta in volta da questi ultimi, adagiatosi ormai da anni su una formula che, se da un lato non offre chissà quali guizzi creativi, dall’altro sta garantendo alla carriera del quintetto una longevità francamente inaspettata.
“Necromanteum” si limita quindi a snocciolare le caratteristiche di un suono noto prosaicamente a tutti, fra luci e ombre, momenti riusciti e altri che, senza mai scadere nel dozzinale fatto e finito, appaiono comunque telefonati o scolastici, specie se si considera che non stiamo parlando di un gruppo esordiente ma di musicisti in circolazione dal 2005.
Preso atto della cosa, le opzioni per l’ascoltatore di turno rimangono due: liquidare la raccolta come l’ennesimo ‘more of the same’ da parte di una formazione caparbia, professionale, ma sostanzialmente limitata da un punto di vista compositivo, oppure accettare le regole del gioco e cercare di trarre del buono da questo pugno di brani, consapevoli che lo svolgimento generale – un po’ come la trama di uno slasher americano – non riserverà molte sorprese.
D’altronde, pur registrando l’ingresso di un nuovo chitarrista (l’ex DevilDriver Neal Tiemann), Scott Lewis e soci si guardano bene dallo stravolgere una proposta che, come detto, ha messo radici e garantito loro il successo commerciale, fra dosi generose di death-core a stelle e strisce risalente ai primi anni Duemila (il quale, a dirla tutta, inizia a suonare un po’ datato) e ‘smandolinate’ black/death punteggiate da qualche orchestrazione.
Appurato che alle tastiere, oggi, viene riservato uno spazio maggiore rispetto al passato, forse per cavalcare il trend imperante dei Lorna Shore, il contenuto musicale di “Necromanteum” si allinea perfettamente a quello di uno “Slow Death”, di un “World War X” o di un “Graveside Confessions”, svettando su quest’ultimo soltanto grazie ad un minutaggio più snello che, giocoforza, aiuta nei momenti in cui il lavoro di chitarra si autocita o strizza pigramente l’occhio ai soliti punti di riferimento (The Black Dahlia Murder, Suicide Silence, Slipknot di “Iowa”, ecc.). Nell’insieme, non mancano comunque episodi come “Crowned in Everblack” (altro omaggio alla band del compianto Trevor Strnad?), “The Pathless Forest” e “How the Knife Gets Twisted”, ben strutturati e dalle linee melodiche convincenti, ma è quasi inutile sottolineare come, per ognuno di essi, vi siano anche pezzi decisamente standard, i quali impediscono all’album di spiccare il volo e di guardare oltre il proprio bacino di fedelissimi.
Discorsi che francamente, arrivati a questo punto, lasciano il tempo che trovano, visto che dati di vendita e richieste di tour daranno ancora una volta ragione ai Carnifex e alla fedeltà alla linea mostrata fin qui. Come al solito, prendere o lasciare.