7.5
- Band: CARONTE
- Durata: 00:27:57
- Disponibile dal: 18/05/2016
- Etichetta:
- Ván Records
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I Caronte abbiamo imparato a conoscerli bene, ammirandone dagli esordi ad oggi la maestria con cui si destreggiano fra sonorità, quelle stoner/doom ritualistiche, diffusissime nello scenario metal contemporaneo, evitando di abusare di cliché e formule pericolosamente radicati nell’immaginario collettivo dei musicisti dediti a questo genere. La forza del combo parmense è sempre risieduta in una reale conoscenza e applicazione alle tematiche esoteriche trattate, una propensione allo studio e comprensione di certe nozioni che ne ha favorevolmente influenzato il pantheon sonoro. Il quale, prendendo spunto dalle lezioni di Electric Wizard e Danzig, oltre che della psichedelia più malata in circolazione, si è evoluto in uno stile autonomo e riconoscibilissimo, rinforzato dalle pallide, spiritate, linee vocali di Dorian Bones, pietra angolare della formazione. Il nuovo EP “Codex Babalon” non va a stravolgere le caratteristiche salienti del Caronte-sound, di cui segna un piccolo passo indietro cronologico alla ricerca di una immediatezza e scorrevolezza lasciate un attimo da parte nel secondo full-length “Church Of Shamanic Goetia”. Il processo di allontanamento da una forma canzone tipicamente doom metal a favore di indefinite perdizioni nello stoner più fumoso era avvenuto già a partire dal primo album “Ascension”, favorendo lo scivolamento negli stati alterati, catatonici e distaccati dal reale, indotti dalle sostanze psicotrope e dalle complesse cerimonie narrate nei testi. Con l’incipit rombante di “Invocation To Paimon” parrebbe invece di essere tornati ai tempi di “Ghost Owl”: la batteria avanza invasiva, arrembante, il riffing si compatta in palle di fuoco che potrebbero suonare come quelle degli Orange Goblin diluite in acidi e deliri. Il singer fa di tutto per entrare subito in confidenza con chi ascolta, tratteggiando linee vocali che se non si possono affatto definire piacione risuonano comunque molto più immediate di quelle della pubblicazione precedente. La relativa novità di “Codex Babalon” risiede in un uso più abbondante di sfumati cori baritonali e in generale in un ulteriore ampliamento dei registri vocali: sussurri, spoken word, abbassamenti di voce e urla licantropiche si susseguono secondo le esigenze espressive, trovando spesso una corrispondente risposta in urla di sottofondo. Espediente, quello di avere voci ‘ingabbiate’ tra gli strumenti a bilanciare le lead vocals, volto a sottolineare il carattere spiritico e magico delle lyrics. Nella già citata “Invocation To Paimon” possiamo anche apprezzare pattern di batteria piuttosto movimentati e di più elaborati del passato. Lo si nota anche quando, nella parte centrale dell’opener, il brano ondeggia nel nulla, schiavo degli effetti e di percussioni che non lasciano intendere nulla di positivo all’orizzonte. “Elixir Rubeus” prosegue l’opera di distruzione, seguendo uno schema simile alla prima traccia: un avvio trascinante, dove i riff si accumulano e deflagrano tra aloni di fuzz urticanti, seguito da una planata elegante nella contemplazione, guidati dalla voce bassa e quasi suadente di Dorian Bones; quindi la ripresa di vigore e nuovi assalti, sulla falsa riga di quelli di un certo “Time To Die”. Movimenti vigorosi e atmosfere dannate, ma attraversate da una concitata vena rock’n’roll, hanno il loro dovuto spazio anche nella conclusiva “Rites Of High Theurgy”, candidata a diventare una nuova hit dei Caronte al pari della già classica “Black Gold”. L’assolo ruggente ne costituisce un fiore all’occhiello, le invocazioni impazzite del finale ci trascinano nell’incubo di un orrore indicibile e, almeno per il momento, a noi sconosciuto. Gran bell’EP, all’altezza dei precedenti capitoli discografici e consigliato anche a chi dei Caronte non abbia finora ‘assaggiato’ nulla.