8.0
- Band: CARPENTER BRUT
- Durata: 45:17:48
- Disponibile dal: 01/04/2022
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Bret Halford (si, tutti i collegamenti che vi sono venuti in mente a leggere il nome sono giusti e decisamente voluti) ritorna, col proprio passo elastico su sperimentazioni elettroniche ed i contorni sfumati nelle luci al neon, e neanche stavolta fa prigionieri: sarà quel mix sapientemente seduttivo di sonorità synthwave e riff metal, sarà il fascino legato alla follia che circonda le vicende di questo fittizio personaggio, eppure siamo sicuri che ancora una volta sarà impossibile resistergli.
Carpenter Brut – un nome iconico per un personaggio dal volto ignoto ai più – sa bene come irretire il proprio pubblico con la sua musica, e col suo nuovo lavoro, “Leather Terror”, lo dimostra ancora una volta: attraverso un meta-racconto (simile per narrazione a quello dell’iconico “The Crimson Idol” dei W.A.S.P.) dai contorni allucinati, il musicista francese coniuga qui definitivamente le proprie radici saldamente ancorate nella musica metal con un amore per l’elettronica più nostalgica e retro, in una dichiarazione d’intenti micidiale. Sin dalle prime note della traccia d’apertura e della successiva “Straight Outta Hell” (pestaggio auricolare garantito a cura della parte ritmica) si evince come il musicista francese abbia messo a frutto la propria esperienza nella scrittura della colonna sonora del film sci-fi indipendente “Blood Machines” (uscito nel 2020): l’intero lavoro è tenuto insieme da una salda struttura ‘cinematografica’, tanto negli intermezzi quanto nelle parti più concitate, facilitando l’immaginazione nel seguire i passi dell’immaginario protagonista, prima studente scientifico, innamorato di una cheerleader e tragicamente deluso, poi sfigurato e mostruoso in seguito ad un esperimento finito male ed ora deciso a prendersi le proprie, agognate soddisfazioni come rockstar abbandonando il proprio nome, Bret Halford, in favore dello pesudonimo di ‘Leather Teeth’, puntando alla fama con i Leather Patrol (che fantasia), che immaginiamo laccati e rampanti come solo le formazioni glam sanno essere.
Il risultato è un album caleidoscopico, violento e decisamente più vicino a panorami estremi rispetto alla trilogia di EP d’esordio: la struttura della musica si assesta più spesso sulla forma canzone più classica, lasciando un po’ più ai margini l’andamento lineare caratteristico di certa synthwave; ciò è sicuramente dovuto anche alla nutrita pletora di musicisti chiamati a collaborare in questo lavoro, e non solo come mero riempimento. Alex Westaway dei Gunship e Greg Puciato (dei furono The Dillinger Escape Plan) regalano infatti una combo di pezzi letteralmente da urlo: se il primo rende “The Widow Maker” ruffiana quel tanto che basta per stamparcisi in testa per settimane come all’epoca fece “Beware The Beast”, il secondo riesce a forgiare col proprio timbro vocale un brano ‘strano’ per quello a cui ci ha abituati Carpenter Brut in passato, eppure in grado di sprigionare la propria carica effettiva ascolto dopo ascolto e cori da stadio se riproposto live. E se l’amicizia con Kristoffer Rygg e gli Ulver viene rinnovata (dopo “Cheerleader Effect” dal precedente, ugualmente magnetico “Leather Teeth” e il remix di “Machine Guns and Peacock Feathers” dei norvegesi) in “…Good Night, Goodbye”, filtrando nell’atmosfera assorta del brano, non mancano nuovi sodalizi – dall’eterea Sylvaine nella liturgia di “Stabat Mater” alla voce gorgogliante e cimiteriale di Johannes Andersson (Tribulation) nella conclusiva titletrack, una cavalcata nerissima ed urticante in territori decisamente sotto il dominio del metallo della morte. Quello che rende unico Carpenter Brut è proprio la capacità di adattare la musica suonata e filtrata dai sintetizzatori alla storia e alle voci che di volta in volta la raccontano, riuscendo comunque a mantenere intatto il proprio marchio: siamo sicuri che ascoltando “Night Prowler”, l’ipnotica “Day Stalker” o i toni catchy di un’altra epoca di “Lipstick Masquerade” riusciate ad identificarne l’autore ad occhi chiusi, perchè le soluzioni elettroniche idealizzate degli anni ’80 – nucleo pulsante del fenomeno retrowave – si sporcano di muscolarità industrial (qui forse ancora più pressante e frenetica) in una maniera inconfondibile, giocando perfidamente con melodie azzeccate e d’impatto.
A differenza del conterraneo collega Perturbator (anche lui immerso fino al collo sia nella scena black che in quella elettronica), che nell’ultimo “Lustful Sacraments” aveva evocato atmosfere più vicine a post-punk e new wave, Carpenter Brut sceglie di divorare le orecchie (ed il cuore) degli ascoltatori con una miscela letale a base di delirio, follia, brani orecchiabili eppure massicci, più vicini – per tematiche e scenari – a formazioni come Dance With The Dead e Midnight Danger che allo zucchero, malinconico e romantico, di FM-84 e The Midnight, sempre rimanendo in lidi synthwave.
Non abbiamo remore nel dire che, alla fine del primo ascolto, abbiamo rimesso “Leather Terror” da capo almeno un altro paio di volte, e difficilmente riusciremo a toglierlo dallo stereo per i prossimi mesi, in attesa del tour europeo e di un futuro, ultimo capitolo della trilogia… In fondo, sappiamo benissimo che sarà così anche per voi.