7.5
- Band: CASTLE
- Durata: 00:36:29
- Disponibile dal: 19/10/2018
- Etichetta:
- Ripple Music
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Mettetevi comodi, rilassatevi e lasciate che la forza travolgente, enigmatica, quasi esoterica dei Castle vi colpisca in pieno… ancora una volta. Già, perché, con il qui presente “Deal Thy Fate”, il duo d’oltreoceano, formato dal chitarrista Mat Davis e dalla sciamanica Elizabeth Blackwell, è tornato nuovamente sugli scudi, grazie alla sua mistura di heavy/doom carica di groove, passione ed affascinante melodia. La voce aggraziata e grezza, elegante e strafottente della bassista americana, condita ai riff, lineari ma dannatamente eccitanti di Davis (la scuola Iommi regna sovrana), ci regalano un viaggio a dir poco malignamente incantevole, come recita l’intrigante cover dell’album, alla ricerca del vero destino. Un sound che, pur non allontanandosi dalle forme stilistiche costruite in passato, risulta migliore, come del resto anche il complessivo songwriting, rispetto al precedente “Welcome To The Graveyard”. Merito, soprattutto, di una prestazione più attenta ed ispirata della stessa Blackwell, che, in questo quinto album marcato Castle, abbassa leggermente le tonalità più elevate, e quindi forzate, raggiunte nell’ultimo full-length, preferendo un livello più ragionato e complessivamente meno sgolato, donando così all’intero lotto un’aura più ammaliante e ricca di pathos.
Un alone di mistero che delinea i suoi contorni con l’opener “Can’t Escape The Evil”: un brano oscuro, tetro, il cui riff portante richiama quella “Skeletons Of Society” di ‘slayeriana’ memoria. Tom Araya and Co. che vengono chiamati in causa anche nella successiva “Skull Of Woods”, più diretta della precedente e durante la quale, in sede di refrain, il pulito della Blackwell si mescola alle note cavernose di Davis. E se il “Prelude” apre le porte ad una profonda quanto melodiosa (soprattutto nel finale) “Hexenring”, lasciando quindi spazio al lato doom della band americana (canadese), è “Wait For Dark” a rimarcare l’aspetto più roccioso dei Castle, i quali, dietro le pelli, si sono avvalsi del buon lavoro di Chase Manhattan. Un assaggio di heavy più classico ed orecchiabile che prende piede con la title-track, bollata anche in questo caso dai sapienti virtuosismi del buon Mat. Passa in secondo piano “Haunted”, a tutti gli effetti il pezzo ‘meno’ dell’intero lotto, mentre in “Red Phantom” riemerge nuovamente l’animo più introspettivo ed occulto sottolineato dal timbro più greve della bassista americana. Un destino complicato, avverso forse, quello trasformato in musica dai Castle, che ben si riassume nella conclusiva “Firewind”, in cui tutti gli elementi assaporati nei brani precedenti si fondono in un ultimo. Una prima parte malinconica sprofonda di tono, salvo risalire di emotività grazie ad un riff più lineare prima che la desolazione totale, come la torre ormai a pezzi e in fiamme riportata in copertina, prenda il sopravvento.
Per gli amanti del doom vecchia maniera, impreziositi da un sound comunque moderno, i Castle sono tornati con un album che, garantiamo, sarà difficile da togliere dal vostro stereo.