9.5
- Band: CATHEDRAL
- Durata: 01:02:48
- Disponibile dal: 29/09/1995
- Etichetta:
- Earache
- Distributore: Self
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1995-2015: vent’anni trascorsi in un lampo, saetta psichedelica e allucinata, come spesso lo è stata la musica degli imprescindibili Cathedral, da epoche senza memoria considerati ‘soltanto’ i figliocci legittimi dei Black Sabbath e, fors’anche per questo, impossibilitati a sfondare del tutto il muro di gomma del successo, sul quale rimbalza scoraggiata l’approvazione globale della maggior parte delle compagini doom metal (ad eccezione, ovviamente, del Sabba Nero). “The Carnival Bizarre”, opera magna della Cattedrale albionica, è il protagonista di questo turno de I Bellissimi, che già in passato ospitarono proprio il debutto della band, quell’estremo e lugubre vagito rispondente al nome di “Forest Of Equilibrium”, abbastanza distante, guarda caso, proprio dal lavoro qui presentato. Nella selva di pubblicazioni di inizio/metà anni ’90 e fra la girandola di musicisti che, in quello stesso periodo, caratterizzarono il mondo dei due mastermind-in-crime Lee Dorrian e Garry ‘Gaz’ Jennings, finalmente si intravede la chimera di una line-up stabile, e soprattutto ideale, per i Cathedral. Entrano in gioco, difatti, il dinamico e versatile batterista Brian Dixon ed il bassista Leo Smee, degno compare a zampa d’elefante di Dorrian. Grazie a questa pressoché perfetta miscela di talenti, “The Carnival Bizarre” esce dallo studio di registrazione, affidato alle capaci orecchie di Kit Woolven (Anathema, Cradle Of Filth, Angel Dust), egregiamente levigato e composto, con suoni assolutamente sabbathiani e ‘grassi’ ma anche ariosi e stoner-oriented, in modo da esaltare per bene sia il groove imperioso dei riff assassini di Jennings, sia le derive prog e psych, sia le follie compositive che già, nell’allora recente passato, i Nostri avevano messo su supporto (si pensi al fenomenale EP “Statik Majik”). Il Bizzarro Carnevale, dunque, si va a posizionare fra i lavori più orecchiabili e fruibili del gruppo che, quasi a voler prendere le distanze dall’emergente scena doom-gothic britannica, facente capo alla famigerata Triade (Paradise Lost, My Dying Bride, Anathema), si dirige verso un approccio più classico e Seventies alla composizione, incastonando in dieci gemme musicali i deliri cosmico-fantastici del folle Dorrian. La partenza del disco è semplicemente deflagrante, segnata da un triplete di brani immediati, possenti e dal tiro super-coinvolgente: “Vampire Sun” e “Hopkins (The Witchfinder General)” decollano in quarta con riffoni monolitici, groovy e fluidi al tempo stesso, sorretti da ritmiche semplici e quadrate ma efficacissime, in grado di mandare al tappeto il più refrattario all’headbanging da torcicollo violento: il connubio tra doom, stoner, hard-rock e classic ai massimi livelli, insomma; non da meno – anzi! – è la terza “Utopian Blaster”, nella quale Sua Maestà Toni Iommi presta umile servizio alla chitarra mentre un riff tanto minimale quanto feroce rade al suolo ogni connessione rimasta sana tra capo e collo. Basterebbe questo power-trio di brani a farci sbavare per tale lavoro, ma i Cathedral non si fermano certo a questo punto: è l’ora della Notte dei Gabbiani, infatti, per una “Night Of The Seagulls” tenebrosa e sorniona, condotta per mano dal basso elegante e sinuoso di Smee e dai vocalizzi deliranti di un Dorrian fondamentale. A seguito del mortifero incedere della quarta traccia, la formazione di Coventry si produce, a centro-album, in canzoni leggermente meno immediate e più dilatate, in cui l’animo prog-ma-fangoso dei quattro si esplica in episodi pesanti e fumosi ma baciati dal pizzico di insanità latente che fa capolino ovunque nell’opera Cathedral: la title-track, “Inertias Cave” e l’epica “Fangalactic Supergoria” creano un tunnel spazio-temporale alla fine del quale, in piena crisi acido-lattica, ci si deve fermare ad ascoltare la leggera e romantica “Blue Light”, semi-ballata dallo spirito sognante e favolistico. A questa altezza, la maestosità di “The Carnival Bizarre” viene vagamente obnubilata da un passaggio forse stonante – ma col senno di poi anche da considerare rilassante – per poi risollevarsi subito con un finale dal forte effetto psicotropo. Finale infatti consegnato ai posteri da “Palace Of Fallen Majesty” prima, ennesimo monolite metallico, e da “Electric Grave” poi, chiosa nettamente divisa in due parti da qualche secondo di silenzio, che nella sua sezione finale rende il decollo verso altre dimensioni nettamente meno traumatico, grazie soprattutto al magistrale lavoro solistico di un ‘Gaz’ Jennings in stato di grazia. Capolavoro assoluto dei Nineties, “The Carnival Bizarre”, impreziosito dal magistrale artwork Boschiano e carico di simbolismi di Dave Patchett, è ancora attualissimo e al passo coi tempi, gran traghettatore d’anime di una generazione presa in mezzo fra la grandeur Settantiana e la frenetica depressione caratterizzante l’avvicinarsi al nuovo, degradante Millennio. Lavoro che più invecchia e più migliora. Abbiatelo.