8.5
- Band: CATHEDRAL
- Durata: 01:10:53
- Disponibile dal: 26/09/2005
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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Incredibile: ce l’hanno fatta ancora. A distanza di diciassette annidalla loro nascita, i Cathedral sono riusciti una volta di più astupire. All’inizio della carriera, la band di Coventry lasciò tutti distucco con il portentoso “Forest Of Equilibrium”, doom metal chedefinire catacombale è poco, lento, possente ed ancora oggiattualissimo. Con i successivi album il quartetto albionico (cheinizialmente però era un quintetto) infilò una serie di capolavoriassolutamente senza tempo, abbinando alle sonorità claustrofobiche deldebut una marcata propensione settantiana e “free” (emersa soprattuttonei numerosi EP, “Hopkins” su tutti) che li accompagna a tutt’oggi. Difronte agli ultimi lavori però, più di una persona ha storto un po’ labocca, credendo che l’apparentemente inesauribile vena creativa diDorrian e Jennings si stesse invece inaridendo. “Endtyme” infatti eraun signor album, ma per la prima volta i Cathedral sembravano voleromaggiare il loro passato remoto piuttosto che continuare asperimentare e, soprattutto con il precedente “The Seventh Coming”, perla prima volta in carriera hanno pubblicato un album che potevasembrare alquanto manierista, seppur composto da ottimi brani. Ilpassaggio alla Nuclear Blast faceva poi temere un appiattimentocommerciale dei nostri. E’ quindi con uno stato d’animo timoroso edallo stesso tempo eccitato che il sottoscritto si accinge all’ascoltodi “The Garden Of Unearthly Delights” e alla fine, dopo numerosissimiascolti nelle situazioni più disparate, può ben dire che l’ottavafatica dei Cathedral sfiora ancora una volta il capolavoro, ponendosiin un’ideale classifica dei loro lavori, appena sotto “The CarnivalBizarre” e “The Ethereal Mirror”, sullo stesso livello dellostoner-oriented “Caravan Beyond Redemption”. Le prime due tracce vere eproprie, “Tree Of Life And Death” e “North Berwick Witch Trials”, sonobasate su un riffing heavy e su tempi piuttosto sostenuti, sullafalsariga delle vecchie “Ride” e “Urko’s Request”, addirittura laseconda riprende dei giri cari a Randy Rhoads, uno dei maestri diJennings. Anche dopo cotanta inaspettata violenza, con “Upon Azrael’sWings” la band non cala di ritmo e sforna una traccia cadenzata, conuna foga chitarristica che a volte per pesantezza rimanda al deathmetal. Lo stacco centrale, quasi space, serve a ricordare che la musicaper i Cathedral non ha confini: infatti la reprise della canzone, purrimanendo estremamente pesante, si tinge di psycho rock alleggerendo lastruttura del brano. Pensare che tutto l’album sarà su questi livellimette i brividi, ed è con una certa deferenza che ci si approccia allasuccessiva e splendida “Corpsecycle”, assolutamente una delle track piùmelodiche mai scritte dalla band. Soprattutto il ritornello, semplice ecanticchiabile, ha delle aperture inaspettatamente solari etardo-sessantiane quasi inedite in precedenza. Dopo il breve intermezzoacustico di “Fields Of Zagara”, arriva la parte clou dell’album, dovetutti i brani hanno una marcia in più e pongono i Cathedral un paio dispanne sopra i comuni mortali. “Oro The Manslayer” è una delle traccepiù veloci e sostenute scritte dai doomster, sempre che sia ancoragiusto limitare i Cathedral al solo doom. La song potrebbe essereuscita da un album come “Supernatural Birth Machine” ed è dotata di unriffing quasi maideniano, con un lavoro ottimo del rodatissimo motoredella band composto da Leo Smee e Brian Dixon, semplicemente una dellesezione ritmiche più coese al mondo. Dorrian poi canta come solo luiriesce a fare (non aspettatevi evoluzioni, come sempre o lo amerete olo odierete) e, per dare ancora più carica alla traccia non lesinanell’utilizzare delle voci strozzate che enfatizzano la struttura giàviolenta del brano. “Beneath A Funeral Sun” è più lenta dellaprecedente, e a dire il vero, anche più canonica, almeno fino albridge, quando l’anima free dei nostri comincia ad uscire, prima graziead un break che potremmo definire prog, poi l’inserto di voci di bimbiche duettano in maniera malata con Dorrian fa il resto. Questo pezzosta lì a dimostrare prima di tutto l’abilità strumentale della band,troppo spesso scambiata per le sue ruvidezze per un gruppo di fabbricon gli strumenti in mano e poi, cosa fondamentale, che i Cathedralsono ancora dotati di sufficiente fantasia compositiva con la qualealtre band avrebbero riempito non un album, ma un’intera discografia.Il pezzo che sicuramente farà parlare di sé e diventerà gioco forza ilmanifesto dell’album è però la successiva “The Garden”, più diventisette minuti di musica assortita nei quali i ragazzi buttanodentro tutto, ma proprio tutto quello che passa loro per la testa: doomcatacombale, progressive, hard rock settantiano, space, funky,psichedelia varia, swing, gothic con tanto di violino e female vocals,heavy metal, folk e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è tantoostico quanto magniloquente. Non potendo stare a descrivere degnamentecon le parole un pezzo del genere, che occuperebbe da solo lo spazio diun paio di recensioni, a noi resta solo da consigliarvi caldamentel’ascolto in quanto, nonostante i generi sopra elencati spesso evolentieri siano in netto contrasto gli uni con gli altri, essi vengonoqui amalgamati in maniera mirabile portando tutti l’inconfondibiletrademark dei Cathedral. La conclusiva “Proga – Europa” (sic!) sirisolve in una breve traccia psycho che parte però dopo cinque minutidi silenzio, inseriti al momento opportuno, per dare modo al cervellodi uscire dal trip mistico della canzone precedente. Non resta moltoaltro da aggiungere, se non segnalare l’ottima produzione di WarrenRyker (già con Down e Crowbar). In certi casi ci si chiede come abbiafatto una band del genere a non sfondare, rimanendo sempre ai marginidel grande successo, ma forse non c’è risposta, forse è meglio così,magari gli allori avrebbero ammorbidito la vena creativa dei ragazzi.Nonostante l’alchimia dei Cathedral sia sempre la stessa, album dopoalbum questi signori riescono quasi sempre a tirare fuori nuove idee enuovi spunti vincenti, ergendosi sopra la stantìa scena hard and heavymondiale. Sta di fatto che le parole non servono di fronte ad albumcome questi, occorre solo immergersi completamente in essi e lasciareche vi penetrino nelle ossa lentamente in modo che non vi abbandoninomai più. Mordete tutti la mela del peccato che campeggia in copertina:forse perderete per sempre il Paradiso Terrestre, ma conoscerete unaband che saprà darvi molto, ma molto di più.