7.5
- Band: CATHEDRAL
- Durata: 01:14:48
- Disponibile dal: 26/03/2010
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Meno male che ci hanno ripensato. Meno male che i Cathedral hanno voluto dare un seguito all’eccezionale “The Garden Of Unearthly Delights”, che, stando ad alcune dichiarazioni rilasciate dalla stessa band, avrebbe potuto essere il loro canto del cigno. Ed invece rieccoli tra di noi, annunciati dal solito splendido artwork di un Dave Patchett bucolico come non mai. “The Guessing Game” è un lavoro monumentale che assume la forma di un doppio cd, con le due parti piuttosto ben distinte tra di loro. Da un lato abbiamo l’anima più rock, più free dei Cathedral, dove la band si permette di fare più o meno quello che le pare e come le pare, fregandosene di tutto e di tutti; dall’altra parte invece ritroviamo canovacci più consoni al quartetto di Coventry e sonorità maggiormente ancorate al doom. Dopo un buon intro, Lee Dorrian e soci ci spiazzano subito, ponendo in apertura di lavoro una doppietta di brani al di fuori si ogni schema, ovverosia “Funeral Of Dreams” e “Painting In The Dark”: la prima è uno riuscitissimo patchwork di prog, psych, proto heavy e folk, mentre la seconda in definitiva potrebbe essere catalogata come hard prog settantiano con delle melodie non particolarmente efficaci. Il primo capolavoro dell’album arriva subito dopo e si tratta della sentitissima “Death Of An Anarchist”. Il brano è abbastanza tipico per i canoni della band: inizia con un arpeggio al quale fa seguito un bel riffone epico e sabbathiano. L’incedere è lento e pregno di dissonanze, con una struttura base molto semplice ma dannatamente efficace. Da appalusi l’intermezzo psichedelico ed il finale accelerato che vira su territori NWOBHM! Straordinaria anche la title track, breve strumentale di prog psichedelico tra Kaleidoscope e Pink Floyd, con largo utilizzo di flauti e il basso di Leo Smee che spadroneggia. “Edwige’s Eyes” è uno stoner doom molto pesante, dotato di un chorus semplice ma ficcante, mentre sul finale del primo disco troviamo la seconda perla. “Cats, Incense, Candles & Wine” è un pezzo destinato a dividere gli ascoltatori: di metal qui non c’è traccia, dato che il mood è quello di un rock sessantiano dalle venature folk semplicissimo e pulitino. Al proprio interno sono presenti dei passaggi prog rock da infarto ed il risultato finale è davvero delicato. Sicuramente il brano più semplice della carriera della band. Il secondo disco si apre con l’ottima intro “One Dimensional People”, che riporta subito in territori slow doom. Da segnalare vi sono “The Casket Chasers”, dal chitarrismo grasso e pesante che richiama alla mente il capolavoro “The Ethereal Mirror”; “The Running Man”, hard rock tune settantiano con tanto di hammond che richiama addirittura gli Uriah Heep e “Requiem For The Voiceless”, classico hard doom caro al quartetto. Leggermente sotto tono “La Noche Del Buque Maldito” che però offre spunti di interesse nella costruzione stessa del brano, che richiama le colonne sonore da film horror degli anni settanta e decisamente bruttina l’attesa “Journeys Into Jade”, la canzone autocelebrativa per il ventennale della band. Warren Ryker dietro la consolle svolge un lavoro eccellente, cambiando sound praticamente ad ogni brano, secondo l’esigenza del momento. In conclusione, pur non essendo un capolavoro come alcuni episodi del passato, “The Guessing Game” è un album coraggioso ed ostico, che necessita di ripetuti ascolti e che, per la sua estrema varietà, non potrà piacere completamente a tutti. Fatto sta che, a nostro parere, i Cathedral riescono ad essere straordinari nella prima parte e un po’ troppo manieristi nella seconda, dove in teoria avrebbero dovuto e potuto fare meglio. Resta il fatto che un lavoro così coraggioso il 99% delle band in circolazione non se lo potrebbero lontanamente permettere o per mancanza di mezzi o per carenze di songwriting. Per questo Lee Dorrian, Gaz Jenings, Leo Smee e Brian Dixon meritano il nostro rispetto più assoluto ed incondizionato. E speriamo che la loro carriera non si concluda qui.