7.5
- Band: CAULDRON BLACK RAM
- Durata: 00:36:11
- Disponibile dal: 22/05/2020
- Etichetta:
- 20 Buck Spin
- Distributore: Audioglobe
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Se qualche anima, nel dicembre del 2014, era rimasta ammaliata dalle lugubri atmosfere rilasciate dagli Stargazer con il loro “A Merging To The Boundless”, o ancora, se poco più di due anni fa avete goduto di fronte alle profonde suggestioni scaricate dal “The Incubus Of Karma” dei Mournful Congregation, oggi, con il qui presente “Slaver”, una nuova pozione è pronta per dissetare i vostri desideri più oscuri e sulfurei. Il motivo di tale concatenazione di eventi, o di album se vogliamo, è presto detto. La matrice australiana, che ci cela dietro a tutti e tre i full-length ha il medesimo nome, quello di Damon Good: bassista negli Stargazer, tuttofare nei Mournful Congregation, chitarrista nei Cauldron Black Ram, altra sublime creatura (attiva dal 1996 e giunta con “Slaver” al suo quarto lavoro) in cui black, death, thrash e doom trovano una nuova, ed altrettanto intrigante formula di aggregazione. E se a ciò che aggiungete che lo stesso Good, qui sotto lo pseudonimo di Alim, è accompagnato da colleghi di entrambe le band menzionate, il gioco è fatto.
Come gli altri due full-length sopracitati, anche “Slaver” può tradursi in un autentico viaggio ribollente di mistero e odio, dove nulla è lasciato al caso e i colpi di scena sono perennemente presenti. Raffiche maligne, contornate da sinuosi stacchi sinfonici (“Flame”), aprono le porte a solenni marce funebri come “Smoke Pours From The Orifices Of The Crematory Idol” (pezzo migliore dell’intero lotto), possente e trascinante al punto giusto, caratterizzato da uno spiazzante e ipnotico feedback finale. Bollato da una cover giustamente infiammante, il nuovo dei Cauldron Black Ram ha la capacità, come detto, di creare in ogni singolo brano una situazione studiata e comunque particolare, inanellando episodi ecclesiali, tinti di occultismo (“Stones Break Bones”) a passaggi a dir poco sperimentali, vedasi “Graves Awaiting Corpses”. Non si intende estendere l’intera recensione ad un totale track-by-track, ma le intuizioni di Good e compagni profumano costantemente di genio e sregolatezza e quando un richiamo agli Impaled Nazarene di “Suomi Finland Perkele” si concretizza nella strumentale “His Appereance” è la caotica “Whore To War” a lanciarsi a capofitto in una putrida voragine intrisa di oblio, dove i repentini cambi di ritmo avvolgono i torbidi di riff dello stesso Alim. Pur necessitando di più ascolti, utili per assorbire in toto le affascinanti dosi maligne sprizzate dal terzetto australiano, “Slaver” riesce comunque a colpire nel segno già alla prima tornata dei trentasei minuti previsti, e con la tribale titletrack raggiunge il definitivo abisso la cui risalita si rivela pressoché inaccessibile. Ennesimo botto quindi in arrivo dalla terra di Adelaide; ennesima conferma da parte della 20 Buck Spin: adoratori dell’underground più sinistro e solforoso, prendete carta e penna ed appuntatevi in grassetto il nome dei Cauldron Black Ram.