8.0
- Band: CAVE IN
- Durata: 01:10:05
- Disponibile dal: 20/05/2022
- Etichetta:
- Relapse Records
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“Final Transmission” aveva fatto presagire la fine di quella meravigliosa esperienza che porta il nome Cave In: il dolore per la tragica perdita di Caleb Scofield ed il titolo che sembrava spiegare tutto in modo univoco non facevano presagire nulla di buono per il futuro. Invece, con una grandissima forza di volontà e con la mente sempre rivolta al compagno di viaggio che non c’è più, la band non si è mai fermata, ha trovato una soluzione interna e naturale nel bassista Nate Newton (già attivo in alcuni progetti di quella che è una sorta di famiglia allargata quali Converge e Old Man Gloom), ha continuato la propria attività live con una toccante esibizione al Roadburn del 2018 e, complice la pandemia ed il tempo libero che si è moltiplicato, ha dato forma ad un disco monumentale.
Sì, perché “Heavy Pendulum” è principalmente e semplicemente questo: settanta minuti di musica, quattordici pezzi in cui l’ispirazione e la motivazione sono palpabili, tanto che si ha l’impressione di trovarsi di fronte non ad una tappa qualunque di una lunga e gloriosa carriera, ma ad un vero e proprio compendio di ciò che questi musicisti hanno fatto per quasi trent’anni e il fatto che la produzione sia stata affidata a Kurt Ballou (Converge), come accadde per i primi dischi della band, rafforza questa sensazione di ritorno alle origini; e, se l’abbondanza è il primo aspetto a balzare all’occhio, qua dentro c’è tutto ciò che ci ha fatto amare i Cave In fin dall’inizio, partendo da quell’attitudine riconoscibile a chilometri di distanza e che li ha portati a non porsi limiti nella commistione tra generi. Troviamo quindi gli energici suoni sludge e metalcore degli esordi (“Amaranthine”), le melodie rocciose dell’ultima parte di carriera (“Blinded By A Blaze”), moltissimo stoner in bilico tra Kyuss e Mastodon (clamorosa da questo punto di vista “Careless Offering”), addirittura il grunge (“Waiting For Love”) e l’immediatezza catchy ma non banale del singolo “New Reality” (nuova realtà intesa come vita senza Caleb, costruita su riff scritti proprio dal compianto bassista): insomma, il meglio di ciò che il rock, soprattutto quello a stelle e strisce, ci ha offerto negli ultimi trent’anni, condensato in una manciata di brani che hanno come comune denominatore la visceralità di uno stile tanto mutevole ed imprevedibile quanto inconfondibile. Ciliegina sulla torta, la conclusiva “Wavering Angel”, una sorta di bigino nonché picco emozionale dell’intero album, con i suoi dodici minuti che si aprono con la chitarra acustica ed un cantato malinconico, e gradualmente si spostano verso una pesantezza grigia e struggente, talmente profonda da dare un senso compiuto a tutto quanto.
Un’opera ambiziosa e multiforme, ora l’unico dubbio è capire cosa ci potrà riservare il futuro.