
6.0
- Band: CELESTIAL WIZARD
- Durata: 00:45:56
- Disponibile dal: 11/07/2025
- Etichetta:
- Scarlet Records
Rassicuriamo subito i fan di “Red Dead Redemption” e “Westworld”: nonostante la copertina dal taglio cyber-western, l’unico punto di contatto con il mondo della frontiera è la morriconiana intro “Muerte”, preludio a quello che per il resto affonda le sue radici nella scena melodic death a cavallo del terzo millennio, resa a livello sonoro con un taglio più moderno e strizzando l’occhio anche alla scena metalcore e NWOAHM d’inizio secolo.
Il terzo disco dei Celestial Wizard, formazione americana sotto contratto con la nostrana Scarlet Records, si accoda dunque alla pletora di band cresciute in tutto il globo terraqueo come spore del Gothenburg sound – dai Blinded Colony ai Divine Souls, passando per i Rise To Fall e i redivivi Withering Surface – e lo fa con la giusta dose di mestiere e una perizia tecnica sufficienti a rendere l’ascolto gradevole, seppur derivativo: “Pale Horse” è una cavalcata a briglia sciolta che riprende la lezione delle chitarre maideniane, così come tra voci filtrate, ritmiche serrate, ritornelli ficcanti e assoli powereggianti i sei minuti di “Fangbearer” volano via veloci, in un mix tra gli In Flames d’annata e i migliori Diecast.
Purtroppo non tutta la tracklist mantiene questo livello d’ispirazione: “Shores Of Eternity” fa il verso agli ultimi Dark Tranquillity con un maggior ricorso al pulito (ad opera del chitarrista Nick Daggers) e alle tastiere senza però possedere le capacità interpretativa di Stanne, così come la semi-ballad “Emerald Eyes”, epurata dagli scream in un mal riuscito tentativo di costruire la loro “Nothing Else Matters” , appare un po’ un azzardo del quintetto di Denver.
Più efficace viceversa l’aggressività metalcore di “Into The Abyss” o quella simil-thrash di “Ride With Fire”, anche se rispetto alle tracce in apertura manca quel mordente in grado di renderle memorabili già dopo un paio di ascolti, limite che caratterizza anche la title-track posta in chiusura. Come nel caso del precedente “Winds Of The Cosmos”, anche per “Regenesis” possiamo parlare di un disco riuscito a metà: i mezzi tecnici ci sono, così come la prova sul giro singolo, ma sulla lunga distanza affiora qualche sbadiglio di troppo. La rigenerazione del Gothenburg sound può attendere.