7.5
- Band: CEMETERY URN
- Durata: 00:37:20
- Disponibile dal: 27/10/2023
- Etichetta:
- Hells Headbangers
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Eccolo di nuovo azione, Andrew Gillon, con la sua chitarra, i suoi Cemetery Urn e la puntuale bordata di ‘barbaric’ death metal: mortifera e sulfurea come vuole la tradizione, la creatura australiana arriva a quota cinque album e, con il qui presente “Suffer The Fallen”, ci presenta, tra le altre cose, una line-up ampiamente rivoluzionata.
Se da una parte, alle sei corde, la coppia formata dallo stesso Gillon e Dan Maccioni è rimasta la medesima rispetto al precedente “Barbaric Retribution”, è l’intero comparto ritmico ad essere cambiato con l’inserimento di Joel Westbrook al basso e di Brandon Gawith alla batteria (già all’opera con i Vahrzaw). Non solo, dal progetto parallelo del chitarrista di Melbourne, gli Abominator, è stato gentilmente preso in prestito, nel ruolo di cantante, l’amico e co-fondatore del gruppo Chris Volcano, così tanto per gradire.
Il risultato? Una quarantina scarsa di minuti durante i quali i canonici tappeti di riff lasciano maggiore spazio ad entrate più spigolose ed avvincenti, così da rendere l’intera proposta un qualcosa di più di una semplice mitragliata con tanto di pilota automatico inserito. Ed in questo senso, il lavoro dietro alle pelli di Gawith si erge come uno dei punti nevralgici dell’esito finale del disco, riuscendo a creare una perfetta montagna russa di ritmi, aggregati in modo egregio agli intarsi prodotti dalla ditta Gillon-Maccioni.
Costellata dalla funerea cover, relativamente sobria nella sua ragnatelosa semplicità, “Suffer The Fallen” mostra una band, sì ancorata agli stilemi perpetrati da altre realtà conterranee (Abominator in primis, ma anche Ignivomous e Bestial Warslut), ma anche propensa ad allargare il proprio raggio d’azione, rimanendo comunque legata a radici prettamente old-school, arrivando a toccare le corde d’oltreoceano sferzate in tempi non sospetti da nomi ben più internazionali come ad esempio, per farne uno e uno solo, quello degli Incantation.
Una mistura completa, marcia quanto basta e ricca di spunti interessanti: superata in velocità l’apripista “Damnation Is In The Blood”, utile a dare una certa continuità al marchio dei Cemetery Urn, è con “Kill At A Distance” che assistiamo ad una prima e sostanziale variabilità di scrittura del brano, grazie appunto a quei continui sobbalzi ritmici precedentemente menzionati. Dinamicità, ulteriormente potenziata in “Savage Torment”: ipnotica su alcuni fronti, ma tremendamente impattante nella sua globalità, frutto, come detto, della capacità di Gillon e compagni di saper lavorare e rendere prezioso ogni passaggio di ogni singolo brano. Una sintesi sonora perfettamente traducibile anche per “Embers Of The Burning Dead”, più lenta e sonnolente rispetto alla precedente ma altrettanto chirurgica. E mentre “Room Of Depravity” giunge a fagiolo, garantendo l’immancabile striatura di riff, è paradossalmente la title-track a cadere leggermente nell’anonimato, riuscendo a garantire un filo logico solamente nella seconda parte del brano stesso.
La situazione diventa diametralmente opposta con le ultime tracce del disco: di suo “Compulsive Degradation” ci offre un piatto death multiforme e ferale, mentre la conclusiva “It Will End In Death” ci accompagna, e non poteva essere altrimenti, con classe e puntualità verso la destinazione finale.
“Suffer The Fallen” che non annoia, anzi, rifulge di quella nube spettrale e desolante per la quale i ‘nuovi’ Cemetery Urn sono risultati abilissimi interpreti.