6.5
- Band: CENTINEX
- Durata: 00:32:10
- Disponibile dal: 07/08/2016
- Etichetta:
- Agonia Records
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Il secondo parto dei “nuovi” Centinex – quelli riformatisi nel 2014, con Sverker Widgren alla chitarra e Alexander Högbom alla voce – è un lavoro piuttosto simile al precedente “Redeeming Filth”. Widgren e il bassista/leader Martin Schulman, i principali compositori, continuano a riservare i loro istinti più cupi e ferali per i Demonical, mentre qui il tipico death-thrash metal della formazione viene lasciato regredire verso lidi groove e soluzioni vicine all’operato di Six Feet Under, Obituary, Massacre e Jungle Rot. Davanti a questo sound così essenziale e “ignorante”, si fa quasi fatica a ricordarsi che i Nostri siano svedesi e che Schulman sia stato coinvolto nella lavorazione di dischi come “Subconscious Lobotomy” o “Reflections”, oltre ovviamente alle recenti prove a nome Demonical. “Doomsday Rituals”, proprio come il suo diretto predecessore, è un’opera interamente votata alla più pura linearità e all’impatto spiccio. Ciò che un personaggio come Chris Barnes propone da ormai più di vent’anni viene qui rielaborato con suoni solo un poco più sporchi e corposi: la produzione risulta tutto sommato superiore a quella del primo parto post-reunion, mentre il songwriting si attesta più o meno sui medesimi livelli, anche se è giusto sottolineare come in questa circostanza alcuni episodi riescano ad elevarsi un pelo sopra la media. Nel complesso, si può vedere “Doomsday Rituals” come una buona appendice di quanto offerto dai Six Feet Under nei tardi anni Novanta e primi Duemila, prima che Barnes iniziasse ad ingaggiare compositori esterni per confezionare i suoi album: i Centinex fanno rivivere in questi solchi lo stile di un disco come “Maximum Violence”, lasciando intravedere solo a tratti il vecchio retaggio old school svedese. Siamo dunque al cospetto di un album senza grandi pretese, fieramente semplice e grezzo, sempre pronto a degenerare nel midtempo da cavernicolo. Quando i Nostri azzeccano il riff portante è impossibile non battere il piede davanti a ritmiche tanto ficcanti, mentre in altri momenti, quando l’ispirazione cala, la prevedibilità supera i livelli di guardia, traducendosi in trame sin troppo primitive e banali; un concetto, quest’ultimo, applicabile d’altronde anche a molti lavori dei SFU e che non fa altro che rafforzare la similitudine tra le due realtà. “Doomsday Rituals”, insomma, è un disco poco incline alla diversità e strettamente indirizzato agli appassionati di uno specifico filone. Si consideri invitato all’ascolto solo chi ama particolarmente le band citate in apertura.