8.5
- Band: CHEVELLE
- Durata: 00:46:11
- Disponibile dal: 08/10/2002
- Etichetta:
- Epic
- Distributore: Sony
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Con il senno di poi, possiamo dire che il declino del nu-metal, dopo l’esplosione nella seconda metà degli anni ’90 grazie ai vari Korn, Deftones e Limp Bizkit, ha avuto inizio all’alba del nuovo millennio, grazie ad una serie di gruppi minori (Adema, Alien Ant Farm, American Head Charge, Apartament 26, Cold, Crazy Town, Primer 55, The Union Underground) tanto abili a scalare le classifiche sulla scia dei grandi nomi di cui sopra quanto incapaci di ripetersi nel giro di un paio d’anni. In questo contesto, tra le tante meteore, uno dei pochi casi in controtendenza è quello degli Chevelle, il cui esordio su major nel 2002 (“Wonder What’s Next”, a distanza di tre anni dall’ancora acerbo debutto underground “Point #1”) rappresenta un’autentica boccata d’aria fresca per l’asfittica scena alternative/nu di quegli anni, nonchè il punto più alto di una discografia comunque capace di ripetersi su buoni livelli fino ai giorni nostri. Prodotto in maniera magistrale da GGGarth (già al lavoro per l’omonimo esordio dei RATM), il debutto presso il grande pubblico dei tre fratelli Loeffler prende spunto da band ‘complesse’ come Deftones, Tool ed Helmet, semplificandone in parte le strutture senza per questo perdere in termini di personalità. Dotati di una doppia veste, come nella migliore tradizione del genere, i Nostri mettono subito in mostra i muscoli con “Family System”, traccia d’apertura con chitarroni ribassati sullo stile dei primi Incubus; ma già dalla successiva “Comfortable Layer”, sorretta da un riff decisamente deftonesiano, si percepisce l’anima più sensibile del cantante/chitarrista Pete, novello emulo di un certo Maynard Keenan dal punto di vista dell’intensità. Non sorprende quindi come la successiva “Send The Pain Below” rappresenti l’ideale unione tra le linee vocali degli A Perfect Circle e il riffing dei Deftones (nello specifico, l’attacco assomiglia molto, forse un po’ troppo, a quello di “Be Quite And Drive (Far Away)”), mentre il climax emotivo trova il suo apice con “Closure” prima e “The Red” poi, perfetta trasposizione in musica di sentimenti contrastanti (rabbia, sofferenza, riflessione) riprendendo in quest’occasione lo spirito più genuino del grunge. Dopo questa parentesi più intima, si torna a pestare con la title-track (altra traccia in stile ‘Tool vs Deftones’), preludio al coro da brividi che apre “Don’t Fake This” (per chi scrive LA canzone dei Chevelle), in grado di entrare sotto pelle grazie all’interpretazione, vocale e chitarristica, di un sempre più ispirato Pete, ben spalleggiato dai fratelli Sam (batteria) e Joe (basso). Detto che nel finale s’inizia ad avvertire un leggero calo di tensione, segno di una varietà compositiva ancora in divenire, da segnalare comunque la chimica tra basso e batteria di “Forfeit”, l’approccio più alternative anni ’90 di “Grab Thy Hand” e il bel giro di basso in primo piano di “An Evening With El Diablo”, prima della chiusura affidata all’acustica “One Lonely Visitor”. Visto in retrospettiva, “Wonder What’s Next” mostra il fianco ad alcune critiche – su tutte la marcata influenza dei padri putativi e l’utilizzo quasi esclusivo dei power chord, aspetti che verranno affinati nei lavori successivi -, arrivando per questo solo a sfiorare la nomea di capolavoro; d’altro canto, sotto il punto di vista prettamente emozionale, resta il punto più alto nella discografia del trio di Chicago, nonchè uno dei numerosi ‘tesori nascosti’ (almeno in Italia, visto che in patria ha ottenuto il disco di platino) dell’età degli eroi del nu-metal.