8.0
- Band: CHILDREN OF BODOM
- Durata: 00:45:05
- Disponibile dal: 02/10/2015
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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C’era una volta, sul lago di Bodom…Se l’inizio della storia è noto, il finale è ancora aperto: c’è chi li ritiene finiti dopo “Hatebreeder” (gli ‘Integralisti‘); chi si spinge fino a “Follow The Reaper” (i ‘Conservatori‘); chi li ha apprezzati anche su “Are You Dead Yet” (i ‘Moderni‘); chi li ha conosciuti con “Relentless Reckless Forever” (i ‘Contemporanei‘); e chi, infine, li ha riscoperti con “Halo Of Blood” (i ‘Nostalgici‘). A scanso di equivoci, chi scrive si colloca volentieri nella fascia di mezzo e, pur riconoscendo una lieve inversione di tendenza con l’album bianco, non aveva grandi aspettative per questo ritorno dei Bambini di Bodom. E invece, lieti di essere smentiti, dobbiamo constatare come Alexi ‘Wildchild’ Laiho abbia finalmente messo da parte il pilota automatico, tornando a riappropriarsi del soprannome musicalmente smarrito dieci anni fa: sarà per l’uscita di scena di Roope – a quanto pare il Jobs Act nei CoB vale solo per il chitarrista ritmico… -, ma “I Worship Chaos” riesce ad essere, oltre che un disco cucito ad immagine e somiglianza del suo leader, il lavoro più compatto e al tempo stesso elaborato della band finnica, superando di slancio i quarantacinque minuti pur senza intro e outro. Pronti via, e dopo pochi secondi la polvere viene spazzata via dall’attacco per chitarra e tastiera di “I Hurt”, pezzo che potrebbe essere stato scritto tra FTR e HCD, così come la successiva “My Bodom (I Am The Only One)” prende a pugni ‘In Your Face’ (finalmente!) chi aveva già dato una risposta affermtiva alla domanda ‘Are You Dead Yet?’. Dopo un simile 1-2, ben vengano un paio di pezzi cadenzati come il primo singolo “Morrigan”, con le sue atmosfere quasi gothic, e l’ancora più lenta “Prayer For The Afflicted”, degna erede di “Angels Don’t Kill”, sapientemente inframezzati dalla tiratissima “Horns”. Polsi slogati anche durante l’ascolto della title track, saltellante come ai tempi di “Triple Corpse Hammerblow”, e con l’extreme-sleaze super catchy di “Hold Your Tongue”, ennesima dimostrazione del ritrovato stato di affiatamento della premiata coppia Laiho-Wirman. Divertimento assicurato anche con “Suicide Bomber” – che il buon Alexi sia un amante del calcetto ignorante? -, anche se la vera chicca del disco arriva con la semi-ballad (!) “All For Nothing”, onirica al punto da ricordare nel prolungato assolo finale i leggendari duelli chitarra-tastiera di “Tokyo Warhearts”. Difficile a questo punto aggiungere altro, ma “Widdershins” chiude comunque in bellezza l’edizione regolare di un dischetto che, spazzando via gli stenti di BD e RRF, si colloca di diritto di fianco al trittico rosso-nero-azzurro di metà carriera. Pesante ma senza voler scimmiottare la cattiveria dei primi due dischi, divertente come non si sentiva da tempo, spaccone e strafottente come si conviene e con una delle migliori copertine di sempre: Hate Crew, cosa volere di più?