9.0
- Band: CHILDREN OF BODOM
- Durata: 00:35:54
- Disponibile dal: 16/02/1997
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Spinefarm
- Distributore: Audioglobe
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E’ il 1997 quando gli Inearthed, giovane formazione finlandese capitanata da un appena maggiorenne Alexi ‘Wildchild’ Laiho, sono in procinto di rilasciare il loro album di debutto su una misconosciuta etichetta belga, la Shiver Records; fortunatamente il demo finisce prima nelle mani della Spinefarm Records, che decide di metterli sotto contratto e li convince a modificare il nome: nascono così ufficialmente i Children Of Bodom, monicker ispirato ai brutali omicidi avvenuti quarant’anni prima nel vicino lago, e nasce così uno dei dischi destinati a sconvolgere il panorama metallico degli asfittici anni ’90. “Something Wild”: già il titolo racchiude l’essenza selvaggia che caratterizza gli esordi dei Bambini di Bodom, lontani anni luce dalle derive commerciali che ne annacqueranno la carriera anni dopo. Se pur infatti il debutto introduce già molti degli elementi ricorrenti della loro discografia successiva – il Reaper in copertina, la produzione affidata al guru finnico Anssi Kippo, gli inserti cinematografici e, soprattutto, l’allora inedita fusione tra ritmiche swedish death, black e assoli neoclassici declinati in duelli all’ultima nota tra chitarra e tastiera – ciò che rende unico questo disco è il livello di grezzume e la furia primordiale che anima Laiho e soci, resa ancora più inquietante dai tasti d’avorio di un Janne Warman catapultato per la prima volta dal velluto del Conservatorio alle atmosfere fumose dei locali più underground di Helsinki. Come molti dei dischi che hanno fatto la storia del genere, anche a “Something Wild” basta poco più di mezz’ora per marchiare a fuoco il nome dei Children Of Bodom nell’immaginario dei metalhead di mezzo mondo: dall’apertura affidata a “Deadnight Warrior” alla conclusiva “Touch Like Angel Of Death”, passando per le due parti di “Red Light In My Eyes”, non c’è un istante di tregua nella follia compositiva dei cinque Bimbi di Bodom, capaci di mescolare mostri sacri e profani come Bach, Mozart, Entombed e Obituary secondo una formula compositiva che verrà dapprima affinata nel successivo “Hatebreeder” e poi, complice un successo planetario, snaturata nelle release successive fino ad arrivare alle pallide imitazioni di oggigiorno. Prescindendo dalle involuzioni future, il disco rosso dei COB resta ancora oggi un gioellino metallico, primo vagito di un genere capace di generare negli anni frotte di imitatori (Kalmah, Norther, Naildown, Mors Pricinpium Est, Skyfire), nessuno dei quali in grado di competere con gli originali, quando ancora di Alexi si poteva dire ‘Your eyes are full of hate, 41. That’s good. Hate keeps a man alive. It gives him strength‘.