8.0
- Band: CHILDREN OF GOD
- Durata: 00:28:09
- Disponibile dal: 08/01/2013
- Etichetta:
- Vendetta Records
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
E’ la “solita” storia che si ripete. La piacevolissima e graditissima storia tanto ricorrente negli ultimi mesi della piccola band sconosciuta che grazie ai poteri enormi del web dei social media e della comunità multimediale estrema riesce a sprigionare un vagito, che corre poi lungo i cablaggi, le onde radio, i ripetitori e i network di mezzo mondo per giungere poi fino a noi sotto forma di un urlo assordante, di un ruggito inarrestabile. Quando la musica è causa stessa del proprio sensazionalismo, quando è essa sola a parlare, ad aver causato la sua stessa visibilità, be’, non possiamo che annuire con approvazione, stamparci un sorriso sul viso e pensare soddisfatti al fatto che per una volta c’è giustizia vera in questo mondo, poiché chi ha lavorato oltremisura e ha voluto andare oltre ha infine raccolto anche più di quanto seminato. La meritocrazia dovrebbe esistere ovunque, anche nella musica estrema, e ci piace pensare che è anche per questo se ora siamo seduti qui a parlarvi dello splendido debutto dei Children Of God, prodotto disponibile solo in digitale tramite il profilo Stereokiller della band, o in vinile presso un solo, sconosciuto negozio di dischi della Central Valley californiana, o tramite la tedesca Vendetta Records in quantità super-limitate. La proposta musicale dei Children Of God sorprende per la familiarità e piacevolissima rintracciabilità del suo sound che ha però anche dei tratti stilistici di fondo sfuggenti, ambigui, difficilmente inquadrabili e dal forte sentore astratto ed immateriale. I Nostri hanno un piede ben saldo nell’hardcore più muscoloso ed evoluto dei primi Cave In, dei Converge e degli Zao, grazie a dei momenti da vera macelleria auditiva, e un altro nel mondo introverso ed obliquo dei Breach, degli Amenra e dei Burst… dei Neurosis, dunque. Impossibile infatti non rintracciare nell’essenza sonica dei Nostri, fatta tanto di brutalità quanto di astrattismo e riflessività, l’essenziale lezione di chi, ormai vent’anni fa, diede all’hardcore quei tratti avanguardistici ed impressionistici che ne hanno ridefinito i connotati in maniera irreparabile ed eterna. Sontuose macchinazioni math-core e scorticanti muri di breakdown prog-sludge si alternano in tutto l’arco di “We Set Fire To the Sky” come fossero le sorti alterne di una guerra senza fronti o confini, le cui logiche e i cui protagonisti sembrano sfocati e inconoscibili. Distruzione venuta dal nulla che piove dal cielo come la materializzazione di oscuri presagi, quindi, scenari evocativi sinistri, apocalittici, oscure premonizioni che prendono vita. La distruzione presente nel sound di questa band ha infatti innumerevoli facce: quella dei venti di guerra, della tensione che sale, dell’escalation di violenza accennata ma ancora non compiuta, dei messaggi subliminali, degli indizi inequivocabili, delle premonizioni impossibili da ignorare. Atmosfere agghiaccianti che annunciano il massacro… a sua volta immancabile, implacabile, efferato. Una strana e costante sensazione che manchi qualcosa (una comprensibile immaturità di fondo per una band giovanissima e solo al debutto?) e la breve durata ci hanno forse impedito, per ora, di gridare all’autentico miracolo, ma siamo solo a inizio 2013 e nonostante tutto uno dei probabili migliori album di hardcore evoluto dell’anno sembra avere già un nome e cognome. Canzone simbolo? Tutte. Esempi concreti? Nessuno. Ascoltate, punto e basta, il lavoro tutto è privo di tratti trascurabili e letteralmente imbottito di momenti memorabili.