7.0
- Band: CHIMAIRA
- Durata: 00.44.23
- Disponibile dal: 30/07/2013
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
Spotify:
Apple Music:
I Chimaira esistono. Pur ricostruiti completamente sulla testa originale, il vocalist e fondatore Mark Hunter, i componenti attuali continuano il percorso successivo all’era nu metal che li ha caratterizzati dal terzo album in poi. Una via indirizzata verso un suono freddo e spietato, senza concessioni alla melodia per quanto riguarda le vocals, dove un tappeto di synth raggela l’atmosfera restando permanentemente sullo sfondo. L’innesto di parte dei Dååth (Sean Z ed Emil Wrestler) si sente sul gusto particolare del riffing, che a volte svia dal groove glaciale per soluzioni più raffinate, anche se resta racchiuso in costruzioni più o meno lineari. Gustose anche le partiture soliste, più elaborate della discografia firmata dalla vecchia formazione. Le tastiere, come già detto, aggiungono spesso quel feeling di freddezza inanimata senza concessioni all’industrial vero e proprio. I Chimaira hanno sperimentato con molti sottogeneri affini e “Crown Of Phantoms” contiene elementi da tutti i passati esperimenti, con una particolare predilezione per ciò che gli americani chiamano ‘groove metal’. Il problema, come nel criticato self titled, è che non c’è una canzone memorabile o in grado di elevarsi, pur restando sempre su livelli qualitativi discreti. “The Machine”, “No Mercy” e “Plastic Wonderland” sono potenti ed esemplificative, non sono ripetitive ma potrebbero confondersi con almeno un’altra traccia dell’album se ascoltate distrattamente, sicuramente un difetto per gli ascoltatori non avvezzi a un certo tipo di sonorità. “I Despise” li avvicina per quanto possibile al groove dei Gojira, per un pezzo più atipico e fuori dagli schemi. “Kings Of The Shadows” mostra il lato più tetro e coraggioso del nuovo ensemble. Questi Chimaira 2.0 fanno bene insomma, se non arrivano all’eccellenza è perché non riescono a disintegrare quei pregiudizi che li vogliono troppo impegnati a recuperare un’identità che non appartiene a gran parte dei membri, troppo freschi di giunzione per suonare come una vera band, senza mastermind che lasci una grande impronta su tutto il lavoro. Benvenuti Dååthmaira.