7.0
- Band: CHRISTIAN MISTRESS
- Durata: 00:32:59
- Disponibile dal: 28/02/2024
- Etichetta:
- Cruz Del Sur Music
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Come si fa a definire un disco ‘classic metal’? Crediamo che la risposta non sia per niente semplice e non possa passare per dei semplici criteri stilistici, vista la quantità immane di influenze che anche la musica più semplice in assoluto racchiude. Nel caso di “Children Of The Earth” dei Christian Mistress, però, siamo indubbiamente di fronte a un gruppo che suona come se fosse classico, vicinissimo come stile a nomi ben più noti della scena come i Tanith o anche a formazioni più sconosciute come i Riders Of Rohan e che sembra aver finalmente trovato la giusta direzione in cui andare.
Assenti dalle scene da nove anni, i Nostri si erano fatti notare per essere arrivati prima degli altri a quella sintesi di hard’n’heavy made in U.S.A. con una doppietta di dischi (“Agony & Opium”, del 2010, e “Possession”, del 2012), per poi sparire dopo aver rilasciato “To Your Death” nel 2015.
Il quartetto, che vede in prima fila Christine Davis dietro al microfono, ha le sue fondamenta attorno alla batteria di Reuben W Storey, già dietro alle pelli di moltissime formazioni dell’area di Washington, con l’incedere heavy dato dal basso di Jonny Wulf e al lavoro chitarristico di Tim Diedrich, l’ultimo arrivato in formazione. Sarà che la band, salvo il chitarrista, è stabile ormai dal 2008, ma si sente che vi è fra tutti una alchimia magica, capace di trasparire sin dalla prima “City Of Gold”, la terra promessa ai “Children Of The Earth” che danno il nome all’album.
Echi soprattutto di Judas Priest, ma anche di quell’heavy nato al di là dell’Atlantico, compaiono in pezzi come “Voiceless” o nell’incalzante “Mythmaker”, dove la Davis ha modo di sfoderare tutta la sua bravura di cantante, perfettamente in grado di donare ai pezzi un tocco epico e quasi sacrale.
Le influenze hard rock vengono sciorinate specialmente negli assoli, con richiami qua e là al Ritchie Blackmore dei Rainbow, mentre ci viene raccontata una storia basata sul concept cui accennavamo prima.
Peccato davvero che questo album duri solamente mezz’ora scarsa, cosa che permette ai Christian Mistress di dire tutto quello che vogliono senza mai annoiare l’ascoltatore – il quale si vede chiudere il lavoro davanti con la conclusiva e giustamente oscura “Shadow”, basata su un ritornello che non potrà non catturare la vostra attenzione, anche per la carismatica voce della cantante.
Alla fine di questa cavalcata vecchia scuola, raggiunta la terra promessa dalla band, non possiamo che salutare con approvazione il ritorno dei Christian Mistress sulle scene, anche se forse ci saremmo aspettati qualcosa di più in termini di minutaggio, vista la bontà della proposta: speriamo che la qualità dei loro lavori continui a mantenersi su questa strada e che magari ciò gli permetta di venirci a trovare nel vecchio continente!