6.0
- Band: CHRISTIAN MISTRESS
- Durata: 00:41:53
- Disponibile dal: 18/09/2015
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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A distanza di tre anni dalla pubblicazione del mediocre “Possession”, i Christian Mistress rilasciano un nuovo capitolo in studio, dal quale si intravede finalmente qualche tenue spiraglio di luce in fondo al tunnel. Al terzo tentativo il collettivo statunitense compie qualche timido passo nella giusta direzione, nonostante persistano ancora parecchi vizi ereditati dal recente passato, atti a relegare un’opera come “To Your Death” alla categoria cadetta. Ricollocata a Portland, Oregon, la band statunitense recluta nelle sue fila il chitarrista Tim Diedrich, il quale contribuisce a disegnare insieme al collega Oscar Sparbel intricati fraseggi alle sei corde, volti a rievocare palesemente gli umori più oscuri della NWOBHM. La produzione ed il missaggio appaiono in questa occasione leggermente più pieni e corposi di quanto udito nei lavori precedenti, nonostante persista la fastidiosa sensazione che il fragore degli strumenti rimanga intrappolato nelle retrovie. Il problema principale va nuovamente ricercato nell’ugola della cantante Christine Davis, realmente incapace di conferire potenza, espressività e grinta alla sua interpretazione spenta, monocromatica e vagamente teatrale. La protagonista si troverebbe decisamente più a suo agio in un gruppo dark, ipotesi avvalorata da un episodio spiritato come “Lone Wild”, fascinosa nenia che rievoca in parti eguali Black Sabbath e Siouxsie And The Banshees. “Ultimate Freedom” è un’atipica ballata segnata da una progressione elettrica densa e traboccante di pathos, alla quale l’ugola sciamanica della Davis si sposa a meraviglia. I restanti brani in scaletta spaziano da temerarie cavalcate ispirate alla Vergine di Ferro (“No Place”), ad irruenti colpi di piccone scanditi dai Motörhead in luna calante (“Open Road”) o pizzicati in un istante di passione con i Thin Lizzy (“Stronger Than Blood”). Il fiacco strumentale “III” chiude un’opera eccessivamente frastagliata e altalenante per ambire a competere con gli attuali eroi del ‘retro metal’ svedese come Enforcer e Horisont. Una sufficienza strappata per il rotto della cuffia, che in questo caso assume il sapore di una cocente sconfitta. Peccato.