5.5
- Band: CHRONIC HATE
- Durata: 00:30:37
- Disponibile dal: 25/04/2012
- Etichetta:
- To React Records
- Distributore: Andromeda
Spotify:
Apple Music:
Diciamoci la verità: suonare death metal in Italia sta diventando sempre più difficile. La nostra penisola, infatti, negli ultimi anni ha sfornato un numero di band degne di nota davvero ragguardevole e questo, per forza di cose, fa innalzare l’asticella delle pretese degli appassionati del genere in questione. Ciò non significa che il nostro giudizio sia influenzato dal momento storico (un album, quando è bello, è senza tempo) ma probabilmente una release come questa dei Chronic Hate, in tempi di “magra” avrebbe rappresentato un’uscita quantomeno da prendere in considerazione per i deathster più incalliti e completisti. “Dawn Of Fury” è il disco d’esordio di questa band veneta, il quale esce sotto la To React Records dopo una serie di demo e EP che si sono susseguiti negli anni passati. La proposta musicale affonda le sue radici nella scena death metal made in USA, con nomi come Morbid Angel, Monstrosity e Immolation come principali e palesi influenze. E’ ovvio che, quando si suona un genere come questo, non ci si deve di certo aspettare innovazioni, novità o chissà quali acrobazie per sorprendere l’ascoltatore. Certo però che i Chronic Hate pare che abbiano come unico intento quello di pestare costantemente e con tutta la forza che possiedono il piede sull’acceleratore, lasciandolo andare soltanto durante qualche buon assolo, e mettendo in rilievo sì una buona capacità di esecuzione, ma un’ispirazione che, per contro, lascia un po’ a desiderare. I riff serrati, fitti e dissonanti sono, insieme ai blast beat, le soluzioni più usate di “Dawn Of Fury”, e il growling non si fa di certo notare per dinamismo o personalità, divenendo a tutti gli effetti una sorta di contorno (un po’ insapore per la verità) allo scheletro dei brani. La produzione è cruda e oscura: old-school direbbe qualcuno, casalinga direbbero i criticoni; di fatto, però, dobbiamo dire che quest’ultima non aiuta a rendere un minimo più piacevole l’ascolto del platter con – in particolare – un suono dei piatti a tratti al limite del fastidioso. Se dovessimo considerare come unici elementi di giudizio l’impegno e l’attitudine, probabilmente promuoveremmo i Chronic Hate, ma purtroppo, quando in un platter vengono a mancare un songwriting convincente e in grado di suscitare un qualche tipo di sentimento, il risultato finale non può nemmeno raggiungere la sufficienza.