6.0
- Band: CHRONIC HATE
- Durata: 00:36:50
- Disponibile dal: 23/02/2018
- Etichetta:
- Via Nocturna
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Sono passati sei anni dalla prima e, fino ad oggi, ultima fatica in studio dei Chronic Hate; anni durante i quali i death metaller veneti hanno dovuto affrontare i soliti problemi che hanno la stragrande maggioranza delle band, ovvero cambi di line-up vari, con tutte le difficoltà del caso nel ritrovare stabilità una volta integrati i nuovi membri. Non è proprio chiaro fino in fondo se i Chronic Hate del 2018 si presentino come quartetto o cosa, in quanto vediamo sui loro social un chitarrista turnista e un batterista come membro ufficiale e un altro ancora per i live, ma questo è abbastanza marginale, per la verità. Rispetto a “Dawn Of Fury”, il cambiamento più di rilievo è un nuovo vocalist, Andrea Mezzarobba, che pare essersi ben integrato nei meccanismi della band. Non eravamo rimasti impressionati positivamente dal disco di debutto di questi ragazzi, ma dobbiamo dire che, qualche segnale di miglioramento c’è stato. Se non altro, i Chronic Hate del 2018, da un punto di vista anche solo formale, sono una band più professionale, con una produzione discreta e un lotto di brani semplici e diretti, che come in passato non spiccano per originalità ma che stavolta si ascoltano con piacere. Cannibal Corpse, Monstrosity e Suffocation rimangono i punti di riferimento della proposta musicale: un death metal old school, dritto e monolitico, molto semplice e prevedibile, ma gradevole se si è amanti di questo tipo di sonorità. Il motore dei Chronic Hate è il lavorìo delle chitarre tramite un utilizzo sistematico di melodie create col tremolo, melodie che per la verità sono tutte piuttosto simili tra di loro, facendo diventare l’album un po’ ripetitivo. Anche i frangenti più rallentati e cadenzati non riescono a sprigionare quel groove e quell’energia di cui avrebbero proprio la necessità le canzoni per essere maggiormente dinamiche. Meglio invece quando i Nostri si buttano in qualcosa di leggermente diverso e sperimentale, come nel caso di “Stato Di Agonia”, che è un pezzo più evocativo e atmosferico, in un certo senso. A parere di chi scrive questo è decisamente il miglior brano del platter, sia per personalità che per coinvolgimento. Questa è la dimostrazione che a volte prendersi dei rischi paga, quindi, se dovessimo dare un consiglio a questi ragazzi, sarebbe quello di insistere verso questa direzione e magari anche nel cantato in italiano, che gli riesce decisamente bene e li rende certamente più particolari di ora. Nel complesso, come detto, non ci troviamo tra le mani un capolavoro, ma un album di onesto death metal.