7.5
- Band: CIANIDE
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 02/06/1992
- Etichetta:
- Grind Core International
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Non lasciatevi trarre in inganno dal dettaglio del dipinto “Crocifissione e Giudizio finale” di Jan van Eyck immortalato in copertina: “The Dying Truth”, prima prova sulla lunga distanza dei Cianide, può essere visto ancora oggi come una delle manifestazioni più ignoranti e regredite di quel genere di musica chiamato death metal. Un’opera che, tolta la suddetta veste grafica, non ci prova neppure a non sembrare il frutto di tre zotici semianalfabeti del Midwest americano, concepita con ogni probabilità fra un turno in fabbrica, una rissa e una bevuta ben oltre i limiti consentiti.
Otto brani per poco più di quaranta minuti di musica che qualcuno, forse non a torto, giudicherà approssimativi e ingenui, così semplici da essere di fatto ottusi, sicuramente non in grado di competere con i soliti maestri o con formazioni più di nicchia ma preparatissime come i vicini di casa Broken Hope, eppure… eppure c’è che nella sua linearità primitiva, nel suo insistere su cadenze doomy non tanto per scelta quanto per evidenti limiti tecnico-compositivi, questo full-length è un vero e proprio monumento alla concretezza e alla resilienza underground di fine anni Ottanta/inizio anni Novanta. Il primo traguardo di una carriera vissuta sempre sotto i radar che, grazie soprattutto al ‘culto’ generatosi attorno a questa raccolta, pubblicata nel giugno ’92 dalla minuscola Grind Core International, ha permesso alla formazione capitanata dal cantante/bassista Mike Perun di diventare un valido ripiego una volta assimilate e consumate le pietre miliari degli Obituary. Inutile infatti cercare di indorare la pillola o di negare l’evidenza: senza l’operato dei fratelli Tardy, i Cianide non avrebbero probabilmente mai visto la luce. Il loro sound polveroso e caracollante discende direttamente da “Slowly We Rot” e “Cause of Death” (senza però i brillanti interventi solisti di quest’ultimo), i quali a loro volta potevano contare sull’influenza di dischi come “Morbid Tales” e “To Mega Therion”, omaggiati anche qui in forma barbara e ulteriormente imbruttita.
Questi i principali punti di riferimento di una tracklist che avanza come un caterpillar tra rifiuti e catrame, immersa in un’atmosfera cinerea non troppo diversa da quella della città natale dei Nostri (Chicago), sempre uguale a se stessa e sempre in grado di offrire lunghe e intense parentesi da headbanging, con il growling rozzo del frontman a scandire le cadenze neanderthaliane delle varie “Mindscrape”, “Human Cesspool” e “Scourging at the Pillar”. Irresistibile nella sua cafoneria, oggi come allora.