8.0
- Band: CIRITH UNGOL
- Durata: 00:39:05
- Disponibile dal: 24/04/2020
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Di questi tempi, circa dodici mesi fa, si celebrava il ritorno sulle scene di Jeff Becerra e dei suoi Possessed dopo ben trentatré anni di silenzio discografico. Una scarica sgorgata dagli inferi, targata “Revelations Of Oblivion”, testimoniava come certe cult band, quando riemergono dal proprio passato, riescono ancora a fare il botto. Oggi, rimanendo in terra californiana, accogliamo con entusiasmo un altro importantissimo comeback: protagonista un gruppo che, senza dubbio, ha fatto la storia di un genere ben preciso. Parliamo di epic metal, parliamo dei Cirith Ungol. Con i primi due album, “Frost And Fire” e soprattutto “King Of The Dead”, delinearono, insieme ai connazionali Manilla Road, le fondamenta di un contesto sonoro che, a metà degli anni Ottanta, venne ulteriormente sviluppato e diffuso da realtà più elaborate, roboanti e, nel tempo commerciali, come Virgin Steel e Manowar. Trame fantasy, unite ad atmosfere cupe e orrorifiche, impreziosirono l’heavy metal classico con sfaccettature oniriche e mitologiche, a dipingere un quadro a dir poco affascinante. Quattro gli ingredienti fondamentali dei Cirith Ungol: i ritmi oscuri, i riff maligno-melodici delle chitarre, la voce magnificamente sgraziata di Tim Baker e la costante presenza di Elric di Melnibonè sulle copertine dei loro album.
Elric che, ventinove anni dopo la release di “Paradise Lost”, compare nuovamente sulla cover del qui presente “Forever Black”, quinto full-length della band di Ventura, primo in assoluto dopo la reunion dello scorso 2016. Una rimpatriata fortemente voluta e ottenuta da uno dei fan della primissima ora: quel Jarvis Leatherby, già bassista dei Night Demon, che quattro anni fa, dopo aver dato vita al Frost And Fire Fest, riuscì nell’impresa di riunire le forze del gruppo americano proprio nella seconda edizione del festival a loro dedicato. Un ritorno di fiamma immortalato da questo attesissimo album. Con Leatherby al basso, nonostante gli svariati tentativi di reclutare nuovamente Michael Flint, dietro al microfono troviamo il sublime Tim Baker, alla batteria l’ermetico Robert Garven, mentre alle chitarre Greg Lindstrom si è diviso il compito con Jim Barraza (presente in “Paradise Lost”), ricordando così il compianto Jerry Fogle. Insomma, la vecchia guardia quasi al completo. Il risultato?
Un disco marchiato Cirith Ungol, dall’inizio alla fine, dallo scorbutico corno dell’intro “The Call” sino ai rintocchi maligni della conclusiva titletrack, attraversando così tutti e quattro i capitoli scritti in precedenza dalla band statunitense. “Legions Arise” ci presenta repentina la versione più speed dei Cirith Ungol, con Tim Baker immediatamente sugli scudi: sessantatré anni e non sentirli, quelli del singer americano, mentre accompagna con le sue urla strazianti le trame pungolanti di Lindstrom e Barraza. Ma è con “The Frost Monstreme” che gli spettri lugubri e ipnotici sciorinati a suo tempo dai ragazzi di Ventura tornano prepotentemente a riecheggiare: il gelo di “Frost And Fire” avanza lento ed inesorabile sui ritmi ammalianti imposti dalla ditta Garven/Leatherby, prima che uno stacco strumentale ci riporti in un batter d’ali proprio a quegli anni, dove tutto iniziò. Sontuosa, come, doveroso ripeterlo, l’ugola di Mr. Baker. E cosa dire di “The Fire Divine”? Citando nuovamente la titletrack del disco d’esordio, è il turno del fuoco divino a farla da padrone: l’heavy più classico, con sventagliate alla Mercyful Fate, si staglia sovrano a sottolineare le linee melodiche intarsiate dal buon Greg Lindstrom. Un tuffo nel passato che riesce comunque a stare al passo con i tempi. Perfetta testimonianza è “Stormbringer” la quale avrebbe trovato un posto d’onore tra le canzoni del mitico “King Of The Dead”. La voce di Baker è strappalacrime (in senso positivo), come tutto il brano del resto: un’energia disarmante come quella sprigionata dalla spada demoniaca dello stesso Elric. L’ennesima dimostrazione che certe emozioni sono dure a morire. “Forever Black” piace proprio per il suo continuo variare, tra pezzi epici (“Nightmare”) ed episodi più rocciosi e granitici (“Fractus Promissum”), a conferma della duttilità d’esecuzione del gruppo americano. E un’altra botta sul cranio arriva quasi in dirittura d’arrivo: “Before Tomorrow”, secondo singolo lanciato circa un mese fa, è a dir poco trascinante, con un refrain da cantare a squarciagola ovunque voi siate, balconi compresi. Che belle cose! Un commento forse banale ma quando arrivano certe scariche lungo la schiena significa che l’effetto tanto desiderato ha raggiunto il suo obiettivo. Per cui fatevi sotto, e inginocchiatevi solenni come i due scheletri adoranti, simbolo storico dei Cirith Ungol. Bentornati!