8.5
- Band: CIRITH UNGOL
- Durata: 00:31:26
- Disponibile dal: 04/1980
- Etichetta:
- Liquid Flame Records
Chi segue la nostra rubrica de “I Bellissimi”, avrà notato la presenza al suo interno di capolavori del metal di band più o meno famose. Questo perchè noi di Metalitalia.com non ci soffermiamo al nome, ma amiamo scavare sempre più in fondo, fino ad arrivare alle viscere dell’underground più remoto. Questa volta ci occupiamo di una band non mainstream, ma neanche così sconosciuta: signore e signori, ecco a voi i Cirith Ungol, veri padri fondatori dell’epic metal, genere che verrà portato al successo commerciale dai Manowar. La storia della band californiana inizia ben prima del decennio dorato dell’heavy metal, gli anni Ottanta. La prima incarnazione dei Nostri comprendeva Lindstrom, Garven e Fogle (i tre quarti della line-up di “Frost And Fire”, a cui si aggiungerà il cantante Tim Baker), intenti, nel lontano 1969, a cimentarsi in cover dei The Beatles. Il gruppo vive tutto il decennio dei Settanta partendo dal folk, e mano a mano si evolve assorbendo tutte le influenze sia dei Sixties che della rivoluzione hard in atto; quello che ne esce è “Frost And Fire” appunto. Per la pubblicazione del disco, non trovando nessuna etichetta disposta ad investire su di loro, i ragazzi di Ventura fondano una propria label, la Liquid Flame Records, attraverso la quale stampano il loro primo vinile nell’aprile del 1980, racchiuso dalla splendida copertina di Michael Whelan, disegnatore che illustrava i libri fantasy di Moorcock. Sin dalle prime note è chiaro che ci troviamo davanti, per i tempi, ad uno stile nuovo, ancora ancorato alla lezione impartita dai grandi dei Seventies, ma smanioso di suonare in maniera irriverente e spontanea, come le band inglesi del periodo. La titletrack è una possente cavalcata carica di epicità, in cui le peculiarità del sound dei californiani vengono subito delineate: il basso di Lindstrom è prominente e rotondo, il drumming di Garven asciutto e preciso, le chitarre di Fogle e dello stesso Lindstrom dimostrano di aver fatto propria le lezione di Black Sabbath e Thin Lizzy e, non ultima, la voce di Baker stridula e mefistofelica si rivela semplicemente adatta al sound evocativo ed oscuro dei Nostri. Con “I’m Alive” la band si spinge in territori più dark e Baker – una delle voci più sottovalutate e meno fortunate della storia del metal – si rivela a proprio agio sia con il nero arpeggio delle strofe, sia con il sostenuto refrain. “A Little Fire”, pur muovendosi in territori hard rock e lisergici, molto settantiani per intenderci, riesce a trasmettere epicità grazie al caratteristico tocco della band. “What Does it Take” è uno dei pezzi più interessanti dell’intero lavoro: aperto da un synth ipnotico, potremmo definirlo come l’ideale incontro tra Sabbath e Uriah Heep, con una spruzzata del prog-rock degli Atomic Rooster. Ancora una volta i Cirith Ungol sono perfetti e Baker fa la parte del cerimoniere. Arriva il momento di distendersi con la divertente e rockeggiante “Edge Of A Knife”, ideale via di mezzo tra i Sabbath di Ozzy e gli AC/DC; “Better Off Dead” punta ancora sul rock’n’roll anticipando i Guns e rievocando i Kiss, sempre nell’inconfondibile stile oscuro ed epico della band. Il primo disco degli americani si chiude con la meravigliosa strumentale “Maybe That’s Why”, sinfonia di chitarre che ricorda la magniloquenza nera dei primi Queen. E’ difficile accettare che certi gruppi non siano riusciti a sfondare; è difficile perchè avremmo voluto da essi più dischi di inediti, ma forse così non avremmo potuto godere della magia che solo certe band come i Cirith Ungol sono in grado di donare.