7.0
- Band: CLAWFINGER
- Durata: 00:42:26
- Disponibile dal: 27/08/2003
- Etichetta:
- G.U.N. Records
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Sono rimasto parzialmente deluso dal comeback discografico della band scandinava, che ha prodotto un buon disco, ma con diversi filler di troppo. Per chi non li conoscesse, i Clawfinger sono una band storica del crossover made in Europe, che mixa partiture rap, distorsioni chitarristiche compresse e potenti, echi post grunge, e melodie country, il tutto ovviamente prodotto e suonato alla grande. Il disco si apre con la title track, song piuttosto canonica per il genere proposto, risultando troppo statica nei riff, e piuttosto prevedibile nel refrain melodico, che comunque non sfigurerebbe affatto in heavy rotation su MTV. La prima bella sorpresa ce la regala “15 Minutes Of Fame”, song spigolosa e ruvida, mai banale, che tiene alta l’attenzione dell’ascoltatore, grazie ai riff di chitarra “in your face”. La spiazzante “Bitch” è per me una canzone strepitosa, dato che i nostri giocano allegramente tra melodie country, cori melodicissimi e sfuriate chitarristiche notevoli, mantenendo alta la tensione, visto che fino alla fine, la song può regalare continue soprese, spiazzando continuamente l’ignaro ascoltatore. “Money Power Glory” è un brano costruito per ficcarsi al primo ascolto nella testa, grazie al refrain ossessivamente ripetuto dal singer, ma fortunatamente la canzone risulta altamente gradevole. Purtroppo le noti dolenti del disco sono presenti in diverse canzoni, come la scontata “Recipe For Hate” in cui il cantante rappa oziosamente, regalando non grossi sussulti, la dura e incazzata “World Domination”, che sarebbe stata una song migliore se in fase di songwriting la band non avesse insistito su partiture troppo monolitiche, la piatta “Four Letter Word”, la veloce e punkeggiante “Kick It”, che a parer mio risulta come mero riempitivo del disco, e la scontata e melodica “Swallow The Disgrace”. Fortunatamente buone nuove ci arrivano dalla rilassata e rappata “Step Aside”, che si lascia ascoltare volentieri e la conclusiva e geniale “Everything Crumbles”, dove partiture d’archi si incrociano a sfuriate pseudo speed metal, sino a sfociare nel ritornello ad alto tasso melodico. Alla fine del disco sinceramente rimane un pò di amaro in bocca, dato che la band ha dimostrato di avere classe e di aver tirato fuori una manciata di ottime canzoni, sebbene lo standard qualitativo del platter non è sempre alto, e quindi ci costringe accontentarci di ascoltare un buon disco, con la speranza che la band sfrutti al meglio le già buone idee espresse in questa sede per poi tirare fuori dal cilindro un vero e proprio capolavoro.