6.5
- Band: CLITEATER
- Durata: 00:32:41
- Disponibile dal: 15/10/2010
- Etichetta:
- War Anthem Records
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L’Olanda ha da sempre una tradizione solida nell’ambito del metal estremo e in questo caso ci propone i Cliteater, una band grindcore orientata verso tematiche gore-demenziali (soprattutto demenziali) alla Anal Cunt, pur se con un livello di produzione, e quindi di intelligibilità sonora, decisamente migliore rispetto a questi ultimi. Il canovaccio musicale è quello che vi immaginereste da un gruppo del genere: gorgoglii incessanti, powerchord hardcore che si assiemano a riff decisamente più metal, del tipo “spaccamontagne”, senza mai dimenticare la necessità di creare momenti mosh; particolare è l’alternanza tra rallentamenti e parti mosh, solo dinamizzata da un’accelerazione finale, che potrete ascoltare in “I Hypocondriac”. La cosa che in effetti colpisce del loro songwriting è la presenza di soluzioni diverse nello stesso pezzo: non sempre l’amalgama è perfetto visto che, a volte, si passa da una soluzione all’altra in maniera troppo poco mediata, ma l’effetto sarà spesso gradevole, come accade in “Fred Shipman (A Sick Man)”, che rimbalza tra rallentamenti e richiami al metal degli anni ’80. Registriamo, infine, la cover dei Pantera, “The Great Southern Trendkill”, il cui titolo (e probabilmente testo) viene appositamente cambiato in “The Great Southern Clitkill”: niente di eccezionale, ma comunque viene resa decentemente e un minimo di effetto lo fa, specie grazie alle vocals. Se qualcuno, durante l’ascolto, dovesse cercare un motivo per arrivare in fondo al disco, possiamo darglielo già adesso con “Knoxville Horror Mutilations” e “BTS”, i pezzi migliori dell’album secondo chi scrive: tanto ossessivo e ritmato il primo, quanto vicino ai Six Feet Under – nella pratica del groove – il secondo, pur con parti accelerate ad evitare eccessiva staticità. In definitiva riteniamo che i Cliteater non trascendano il concetto di songwriting e che, in alcuni momenti, indulgere troppo a lungo in aspetti demenziali possa far perdere di vista la pura necessità espressiva e quindi limitare l’efficacia della musica (come accade, per esempio, in “Positiv Aspects Of Collective Chaos”), tuttavia divertono e non rompono le scatole: se siete appassionati di musica estrema e non disdegnate quel minimo di approccio punk/hardcore, questo disco potrebbe avere la dote di interessarvi.