7.5
- Band: CLOAK
- Durata: 26/05/2023
- Disponibile dal: 00:49:35
- Etichetta:
- Season Of Mist
“Black Flame Eternal”: un titolo, una dichiarazione d’intenti lanciata verso il mondo; stavolta i Cloak non la mandano proprio a dire: il loro terzo album è una una discreta manata in faccia, a partire proprio dal titolo.
Fin dalle prime, urgenti note di “Ethereal Flame” è possibile notare come il quartetto di Atalanta si sia scrollato di dosso la polvere accumulata nei quattro anni trascorsi dall’uscita di “The Buring Dawn” e si sia messo di buona lena ad affilare riff, impeto distruttivo e cavalcate furiose di batteria, trasformando – metaforicamente e non solo – la propria cripta mefitica in una fucina infernale. I quasi cinquanta minuti di questo lavoro infatti sono permeati di una rabbiosa, dirompente furia, molto più vicina – per intemperanza, malvagità e livore – alla nera strada tracciata dai Watain che alle atmosfere cimiteriali che ci avevano spinti ad accostarli, negli esordi, ai Tribulation, anche se l’operato dei vampiri svedesi lascia comunque la propria impronta negli arpeggi ipnotici di chitarra (come ad esempio in “With Fury And Allegiance”, o in alcuni passaggi di “The Holy Dark”), e in un gusto vagamente polveroso nei suoni.
Rette da un gioco azzeccato di melodie e violenza, ciascuna delle nove tracce mostra un’energia rinnovata nel costruire un disco tanto immediato nella propria urgenza espressiva quanto per nulla frettoloso nella costruzione delle canzoni, alternando sapientemente bordate senza respiro (“Invictus”) a momenti in cui a farsi sentire è di nuovo l’amore per certa epica annerita (come ad esempio in “Seven Thunders”, o l’assolo di “Eye of The Abyss”)
Il terzo disco, per una band, è sempre un passaggio cruciale, e in questo caso i Cloak scelgono di affrontarlo a ghigno scoperto, battendo come fabbri nella sezione ritmica – in cui spesso a mettersi in evidenza, accanto ad una batteria verace e organica, è il basso urticante di Billy C. Robinson – e legandola con prepotenza all’intreccio di chitarre, con la voce abrasiva di Scott Taysom a sigillare il tutto in una amalgama in cui black metal, la scuola melodica svedese del death metal e influenze rètro sono fuse in un composto certo non nuovo nè innovativo, ma non per questo meno piacevole da ascoltare, soprattutto per chi è alla ricerca costante di energia muscolare e luciferina, qui più in primo piano che in passato. Qui, molto più che in passato, è possibile percepire una sorta di gioioso menefreghismo sprezzante e antagonista, che regala all’intero lavoro – apprezzabile, ma senza quel guizzo in grado di farci gridare al capolavoro – una sfumatura di freschezza che ci fa ben sperare per la futura carriera dei Nostri.
Certo, la sensazione che stavolta, si sia guardato molto, molto da vicino tanto all’operato di Erik Danielsson e compagnia satanica del circondario rimane, ascolto dopo ascolto: citiamo “Heavenless” o la title-track finale come esempi, dove la prima, tra arpeggi acustici, voci appena ripulite e sussurranti appare come un tentativo di reinterpretare (senza raggiungere) alcune suggestioni del bellissimo “The Wild Hunt”, mentre nella seconda (accanto a rimandi ancora ai tenebrosi, efebici autori di “The Formulas Of Death”), scorgiamo la stessa voglia di appropriarsi di territori e spazi senza compromessi, usando il fuoco per farsi strada.
Come già detto, questo non è per forza un problema, se quanto esce dalle casse ha comunque una propria, diabolica energia, che apprezziamo come un nuovo passo in avanti nella carriera dei Cloak. In attesa che diventi una corsa – e magari un bel salto – in quelle fiamme che per ora sembrano comunque avere combustibile con cui bruciare.