7.5
- Band: CLOAK
- Durata: 00:49:03
- Disponibile dal: 25/10/2019
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Tornano i Cloak e lo fanno con una staffilata micidiale sui denti, a soli due anni di distanza dal debutto “To Venomous Depths”. Fin dall’intro dell’iniziale “March Of The Adversary” è possibile accorgersi di come i quattro di Atlanta, Georgia abbiano aggiustato tiro e messa a fuoco della propria proposta musicale, benedetta ancora una volta dall’eredità di Dissection et similia: via le ragnatele più superflue e ridondanti, via taluni afflati sepolcrali leggermente ampollosi e un po’ troppo incartapecoriti, dentro il grasso e paludoso suono southern in grado di sporcare deliziosamente una proposta già di per sè carica di miasma. Complici un’ottima produzione (insieme nitida ed ipogea), un dipinto di Adam Burke in copertina ed una durata stavolta più ridotta, ecco che “The Burning Dawn” risulta in grado di far breccia nel cuore sia di chi predilige i riff anneriti del death metal old school che guarda anche agli anni Settanta, sia di chi apprezza maggiormente quello più tirato, ignorante e belluino. I sussurri da vampiro rantolante e gli accenni d’organo (che trova spazio nella sola strumentale “The Fire, The Faith The Void”) sono condensati in pochi, selezionati passaggi, mentre la batteria vorticosa e tiratissima (grazie ad un Sean Bruneau indiavolato), chitarra e basso cadenzati, schioccanti e ammantati di una sulfurea epicità la fanno da padrone in pezzi come “Lifeless Silence” – con un passaggio in grado di far staccare la testa a molti per l’headbanging ed un assolo affilatissimo – e “On Poisoned Ground” lasciando l’ascoltatore col fiato corto e gli occhi strabuzzati; il tutto condito dai gorgoglii mefitici (qui leggermente più ‘spessi’,vigorosi) di Scott Taysom e da una buona dose di melmosità strisciante filtrata in ogni comparto, in grado di arricchire davvero l’intero platter. L’intero lavoro sembra essere più lucido e limato; questo però nel caso dei Cloak non diventa sinonimo di rarefazione o rallentamenti, al contrario restituisce una forsennata carica demoniaca in più rispetto a quanto sentito prima: si ascolti a questo proposito “Into The Storm”, dove un arpeggio sinistro si lega ad un comparto ritmico aggressivo e prepotente, per poi sublimarsi in un assolo sì classicone, ma comunque al vetriolo. Sicuramente il lungo strascico del mantello dei Tribulation fa ancora ombra sopra la testa dei Cloak, rendendo alcuni passaggi o riff un po’ troppo debitori verso i Nachzehrer europei, ma visto il percorso di crescita ed evoluzione intrapreso dai Nostri non possiamo far altro che far loro un plauso per questa seconda prova e sperare nel definitivo salto di qualità del terzo disco.
“We are the murderers of light”.