6.5
- Band: CLOUDSCAPE
- Durata: 01:00:36
- Disponibile dal: 03/06/2006
- Etichetta:
- Metal Heaven
- Distributore: Frontiers
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La risposta dei media specializzati di mezzo mondo al debutto degli svedesi Cloudscape era stata sicuramente calorosa, dove una unanimità di addetti ai lavori aveva individuato nell’omonimo dischetto elementi degni di attenzione, primi fra tutti la bravura vocale ed interpretativa del singer Mike Andersson, e nondimeno una buona capacità di arrangiamento dei brani, quanto mai ricchi di cambi di tempo e di ambientazione. Dopo un anno ecco i nostri di nuovo sugli scudi, con l’oscuro “Crimson Skies”, a cercare di bissare il successo (se non tanto di vendite, almeno di gradimento) del precedente album. Vi anticipiamo che il risultato non è stato pienamente raggiunto. Il lavoro è valido, su questo non si discute, ma ci sono alcuni aspetti che non ci convincono pienamente. Sarà che manca l’effetto sorpresa, sarà che i cinque svedesi sono stati schiacciati sotto il peso delle aspettative, ma l’album stenta a fare breccia, se non addirittura nel cuore, almeno nel cervello di chi scrive (sempre che ne sia rimasto ancora). Il trittico iniziale “Shapeshifter”/”Shadowland” e “And Then The Rain…” non colpisce per nulla, principalmente a causa di una scelta di linee melodiche tutt’altro che felici, che minano inesorabilmente la credibilità artistica di un quarto dell’album. Soprattutto la terza traccia, una specie di out-take dei peggiori Ring Of Fire di Mark Boals, sembra infinita tanto è tediosa. Per fortuna nostra (e loro) da “Take The Blame” la storia cambia, e partiamo con il ‘caldo’ dell’album, tra le ritmiche serrate e melodie vincenti (Starbreaker meets HammerFall) di “Take The Blame”, tra melodie sbilenche ed affascinanti stile Vanden Plas (“The Last Breath” e “Breach In My Sanity”) i cinque svedesi ci conducono per i paesaggi oscuri ben rappresentati in copertina. Buono l’equilibrio espresso tra cambi di ritmo e di tensione, segno di una rinnovata bravura compositiva, forse ora più concentrata sulla forma canzone di quanto fosse in passato. Un lavoro valido, quindi, ma non miracoloso, che non mancherà di appassionare chi già aveva amato l’album di esordio. Per chi scrive, comunque, era lecito aspettarsi qualcosina in più.