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- Band: COAL CHAMBER
- Durata:
- Disponibile dal: //2002
A cinque anni di distanza dal debutto discografico già per Roadrunner Records e con due notevoli dischi all’attivo torna la band chiave dei più recenti festivals rock-metal d’oltreoceano, ma soprattutto indiscussi beniamini dell’OzzFest, sto parlando chiaramente degli schizofrenici Coal Chamber di ritorno nel 2002 con un disco decisamente più oscuro e malvagio rispetto ai noti predecessori, un sound che dà più respiro all’attitudine post gotica della band senza però travisare l’impronta musicale che li ha resi celebri in tutto il mondo. Ascoltando e riascoltando questo “Dark Days” si ricava molto presto l’impressione che il disco sia stato partorito e confezionato in tempi brevissimi, senza dare sufficiente importanza al songwriting che appare quanto mai stanco e forzato, al limite delle ripetitività, senza dubbio a causa della matrice poco personale che ha sempre distinto il quartetto californiano, che già nel primo disco abusava non poco di idee prese in prestito da capisaldi del genere come i Sepultura di Roots e i primi Korn. Ma se per un debutto tutto questo può essere in qualche modo tollerato in previsione di una crescita e di una maturazione compositiva, di fronte ad un terzo disco così palesemente poco ispirato non posso fare altro che biasimare la superficialità dimostrata dai quattro musicisti. Se da un lato è indiscutibile l’importanza che può avere l’aspetto scenografico di una band per la sua affermazione nel grande business di un genere così attento a mode e costumi come il nu metal è altrettanto vero che non si può improntare un’intera carriera sull’atteggiamento o l’abbigliamento e se alle spalle c’è un profilo tecnico-compositivo piuttosto carente, considero quantomeno improbabile sperare in un futuro sempre roseo per una band di questo calibro. Esaminando il disco nel dettaglio emergono alcuni brani interessanti, come la first track “Fiend”, singolo apri pista e primo video del nuovo album, oppure “One Step” che non brilla per originalità ma finisce per coinvolgere adeguatamente l’ascoltatore. Ritmiche serrate e ben dosate, merito anche dell’ottimo lavoro svolto dal chitarrista Meegs Rascon e dalla new entry la bassista Nadja Puelen, che ha sostituito la precedente Rayna Foss Rose, ormai completamente immersa nel suo ruolo di madre al punto da decidere di abbandonare la band, mentre, nel complesso, risulta poco soddisfacente la voce dell’eclettico Dez Fafara, deludente dal punto di vista espressivo più che da quello strettamente tecnico. “Dark Days” è un disco che di certo non dispiacerà ai più appassionati fans della band, ma ancora più di sicuro non cambierà di certo la storia del nu metal.