7.5
- Band: CODE ORANGE
- Durata: 00:33:00
- Disponibile dal: 02/09/2014
- Etichetta:
- Deathwish Inc.
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Da Code Orange Kids a Code Orange. Il gruppo hardcore di Pittsburgh modifica leggermente il nome, come a voler sottolineare il più possibile un ipotetico passaggio all’età adulta e ad un suono più maturo. In verità, più che con una effettiva maturazione a livello tecnico e di songwriting, la rimozione di “kids” va a coincidere con un irrobustimento della proposta, derivato anche e soprattutto dalla moltiplicazione delle influenze metal e da un lavoro in sede di produzione che questa volta dona agli strumenti volumi e un impatto davvero importanti. Rispetto al precedente “Love Is Love // Return To Dust” non si riscontrano però particolari sviluppi nel modo di comporre: come di consueto, i ragazzini statunitensi danno l’idea di strutturare i loro brani con estrema casualità e disinvoltura. Più che alla singola canzone, i Code Orange sembrano pensare all’album nel suo insieme, il quale viene sempre visto come una sola grande esperienza, da assorbire in un solo colpo e senza badare troppo alla distinzione fra le varie tracce; riff, melodie e linee vocali assai di rado vengono ripetute, la tracklist tira dritto senza guardarsi indietro, diventando ben presto un treno di suoni e sensazioni che riesce ad assumere un vero senso solo quando completamente ascoltata. Si sente ancora una volta l’influenza dei Converge nelle sezioni più nervose, mentre i pesantissimi breakdown oggi arrivano a chiamare in causa persino i terrificanti Disembodied; ad una prima fruizione pare infatti che i Code Orange abbiano soltanto cercato di darsi con maggiore costanza ad un metal-core corrosivo, tuttavia ascolti più attenti svelano anche un’anima tormentata che emerge in particolare in quei passaggi in cui la chitarrista Reba Meyers contribuisce al cantato, generando intriganti affinità con lo sludge obliquo dei Kylesa. Come accennato, il dosaggio dei vari elementi e il modo in cui questi ultimi vengono assemblati non danno una grande idea di lucidità, ma è anche vero che questa imprevedibilità e queste arie tese e disturbanti stanno ormai diventando una delle principali caratteristiche del quartetto: i Code Orange, d’altra parte, si rivelano sempre mediamente ispirati, concreti e abili nel gestire sia le aperture più heavy che quelle più evocative; inoltre, sono soliti mantenere il tutto entro una durata più che ragionevole (mezzora), mettendo quindi l’ascoltatore nelle condizioni di discernere e assimiliare i loro deliri senza sforzi immani. “I Am King” non è il disco della vera maturità, ma ha comunque il potenziale per lasciare una cicatrice nell’animo del fruitore più aperto e licenzioso.