7.5
- Band: COFFIN MULCH
- Durata: 00:30:56
- Disponibile dal: 30/06/2023
- Etichetta:
- Memento Mori
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Avevamo lasciato i Coffin Mulch con il convincente EP “Septic Funeral” un paio di anni fa e ora li ritroviamo, come era prevedibile, con un primo full-length che si pone in continuità con gli esordi, ampliando al contempo il raggio di azione della proposta. Con “Spectral Intercession” i death metaller scozzesi mettono in vetrina il loro genuino attaccamento alle origini del movimento, confezionando una tracklist dal cui ascolto si percepisce una carica che inietta nelle vene un senso di potenza e liberazione. Da un lato, la proposta del quartetto originario di Glasgow si basa su ingredienti semplicissimi, ma questi vengono di volta in volta abilmente dosati in composizioni che di rado cercano di ripetere lo sviluppo della traccia che le ha precedute.
I Coffin Mulch fanno spesso entrare in un dialogo disarticolato e rutilante le asperità di primi Entombed, Autopsy e Repulsion, affidandosi a uno sviluppo ritmico che talvolta può inizialmente sembrare spastico e slegato, fino a quando esso prende vita incuneandosi in stratificazioni sempre più spesse e ossessive, in un lento e inesorabile incedere cavernoso e ostinato, furente e vorticoso, che a volte può anche sfumare in azzeccate dispersioni dall’aura maledetta. La band ci offre dunque un lotto di brani che a tratti avanzano per percorsi inattesi, dove la tensione dei midtempo più marci viene qua e là allentata tramite cadenze più orecchiabili e cariche di groove che richiamano gli Entombed di “Clandestine”. Del resto, anche la voce del frontman Al Mabon appare spesso come un incrocio fra LG Petrov e Nicke Andersson, con quelle urla spontanee, mai troppo gutturali, che sembrano raccontare desiderio e vendetta.
Questi otto episodi, pur muovendosi nei canoni estetici del death metal dei tardi anni Ottanta e dei primissimi Novanta, risultano insomma avvolti da una spiccata potenza espressiva. Il songwriting del gruppo appare incisivo, penetrante e vivido. C’è vibrazione, c’è alternarsi di registri e stati d’animo, ci sono una serie di contrasti e di ficcanti slanci che solo degli attenti conoscitori del genere sanno come mettere in pratica. Certo, le influenze sono appunto ovvie, tanto che a un primo ascolto non è semplice identificare il tutto come “stile Coffin Mulch”, ma l’ispirazione c’è, e una bella verve sanguigna pure. Più si va avanti con le fruizioni e più la proposta degli scozzesi ci risuona come una sorta di primi Morbus Chron rielaborati in una chiave più densa e rifinita, senza tuttavia sfociare nella successiva svolta prog. Death metal da fan per altri fan, insomma, nel nome dell’underground e di tutto ciò che lo spirito old school può rappresentare quando viene interpretato con la giusta passione e competenza.