7.5
- Band: COLONNELLI
- Durata: 00:36:06
- Disponibile dal: 23/02/2018
- Etichetta:
- (R)esisto Distribuzione
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Ora, non succede poi così spesso, parliamo di un disco cantato interamente in lingua italiana. Il nome di questa band toscana deriva dal cognome del chitarrista/cantante Leo Colonnelli, unico membro rimasto fisso in pianta stabile dalla formazione avvenuta nel 2012, un anno prima dell’uscita del loro EP autoprodotto “Circo Massacro”. Dopo aver firmato un contratto con la label (R)esisto Distribuzione, assunto altri due musicisti e aver rilasciato il primo full length ufficiale dall’altisonante titolo di “Verrà la Morte e Avrà I Tuoi Occhi”, i Colonnelli tornano col loro secondo lavoro “Come Dio Comanda” (un nome un programma). Dopo l’intro, veniamo letteralmente accolti a mazzate sul grugno dalla violenza sonora della prima traccia “Amleto”, sin dalla quale possiamo riconoscere i numerosi elementi di matrice thrash, groove e persino punk, abbinati ovviamente al cantato in italiano, pur non mancando anche momenti dal sapore decisamente più stoner. Anche la successiva title-track picchia duro e più ci addentriamo all’interno di questo disco, più ci facciamo pervadere dalla collera trasmessa in ogni singolo riff e in ogni sfuriata proveniente dalla bocca del sopracitato Leo, che in questo album ha evidentemente riversato tutta la sua rabbia e tutta la sua voglia di urlare un messaggio al paese e al mondo intero con tutta l’enfasi necessaria e il metal, lo sappiamo, è anche questo. ‘A manetta!!’ urla l’inizio del brano “Demoni e Viscere”, ed effettivamente è lo stesso consiglio che anche noi vorremmo dare a chiunque volesse dedicarsi all’ascolto di un disco che non vuole mai essere prolisso o tirato per le lunghe; i brani sono infatti piuttosto brevi e in generale l’intero lavoro termina dopo poco più di mezz’ora, il che in questo caso lo definiremmo un pregio, soprattutto considerando il genere di cui stiamo parlando. Con “Interludio” (si chiama proprio così la canzone) inizia la parte finale dell’album, caratterizzata principalmente dalla riuscitissima cover di “Festa Mesta” dei Marlene Kuntz, qui del tutto riarrangiata e estremizzata sotto pressoché ogni punto di vista, e dalla conclusiva “Lochness”, che rappresenta anche il brano più lungo dell’intero album. Terminato l’ascolto, il nostro desiderio più grande sarebbe ipoteticamente quello di assistere quanto prima a un loro concerto, perché una proposta simile, a parer nostro, può esprimere tutto il suo potenziale effettivo dal vivo molto meglio che su disco, con i presenti intenti a darsele di santa ragione cantando insieme a Leo fino a infiammarsi la gola. In questi momenti ci rendiamo conto che in Italia le band con le palle ci sono e, anche senza rifugiarsi nel cantato in inglese come tutti, sono in grado di trasmettere un messaggio chiaro all’interno di una proposta musicale violenta e in linea con quelli che sono oggi giorno gli standard del genere. Probabilmente le loro scelte gli impediranno di girare l’estero, ma considerando il bisogno che c’è in Italia di band valide, per una volta potremmo anche essere egoisti e tenerceli per noi così come sono.