
6.5
- Band: COLTSBLOOD
- Durata: 00:42:24
- Disponibile dal: 30/05/2025
- Etichetta:
- Translation Loss
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Ci sono molta rabbia e molto dolore a sostenere l’operato dei Coltsblood. Non che la cosa sia una novità per loro, se si ha anche solo vagamente presente il ferale sludge-doom dalle tendenze funeral che costituiva l’ossatura principale e la polpa marcescente dei due album precedenti, l’esordio “Into The Unfathomable Abyss” (2014) e il successivo “Ascending into Shimmering Darkness” (2017). Sono dovuti passare invece ben otto anni prima di un altro loro segnale di vita, anche se parlare di vitalità nel loro caso è esercizio di nero umorismo.
Il terzetto di Liverpool appartiene a un’ala di musicisti che si è ben incuneata in una sua umida e raccapricciante nicchia e da lì non ha il benché minimo desiderio di spostarsi. Una bestia selvatica e poco addomesticata, i Coltsblood, fedeli al verbo del doom inglese, alle sue atmosfere dolenti e in decomposizione, da tratteggiare attraverso un armamentario strumentale devoto alla tradizione di questi suoni. Tradizione che può guardare abbondantemente nel passato, ricordando nelle sue atmosfere il doom delle origini, vuoi anche per una cornice sonora ruvida, esaltante il feedback e la grossezza delle chitarre. Tradizione che, sempre stando in un modo di intendere il metal non propriamente ipermoderno, richiama il death-doom novantiano, elidendo brutalmente tutto ciò che poteva sapere all’epoca di poesia, di qualcosa di più colto e intangibile. Al contrario, “Obscured Into Nebolous Void” calca la mano sul lato morboso e viscerale del doom, infliggendogli le fangosità dello sludge e schiudendogli le porte del death metal e qualche sortita anche sulla sponda black.
L’ampio lasso di tempo intercorso tra secondo e terzo album non ha mutato di un millimetro i canoni della proposta, che ha in regole ferree e assai rigide i suoi architravi. Le quattro tracce si muovono preferibilmente lente, cupissime e sovraccariche di sporcizia e riverberi, facendo filtrare timidamente qualche melodia più ariosa, di impronta squisitamente funeral doom e proiettate verso mondi sonori meno estremisti. L’immobile minacciosità delle ritmiche chitarristiche rimane il perno per l’album nella sua interezza, indirizzandone inesorabilmente le sorti e segnalando anche i limiti dei Coltsblood. Se è vero che una tale costante severità e pesantezza delineano bene l’atmosfera dominante e non divagano mai verso altri tipi di approccio, si riscontra anche un’assenza di grandi idee che sviluppino e sostengano tutto questo cipiglio negativo.
Non saremo di certo noi a negare il fascino di un’operazione e di un gruppo di questo tipo, così abbarbicata sulle sue posizioni oltranziste senza scendere ad alcun tipo di compromesso. Eppure, anche se si ha dimestichezza con lo spessissimo buio dello sludge-doom, il trio sembra proprio incapace di andare oltre una fiera peregrinazione in tutto ciò che di intossicato, sporco e devastato il doom sappia offrire.
L’efficacia del trio rimane discreta ma abbastanza standardizzata, sia che si concentrino su un versante più affine al funeral doom (l’opener “Until The Eidolon Falls”, la comunque più brillante title-track), sia che alzino velocità e mordente in strappi violenti e selvaggi, come nella più varia “Waning Of The Wolf Moon”. A far filtrare le sensazioni migliori sono sempre le melodie chitarristiche, buon contraltare al rantolare marcescente del basso, anche se non bastano a dare un qualcosa di speciale e sopra la media alla musica.
Il brano migliore è quello dove i Coltsblood depongono in parte le armi e si consegnano alla sconfortata mestizia, ovvero nel corso della più sinistramente soffusa “Transcending the Immortal Gateway”. Qui, adagiandosi su arpeggiati che sanno di Evoken come poche altre cose, il gruppo si dimostra a suo agio su cadenze funeral doom poco elettriche ma altamente morbose, con uno spessore e una freschezza ben superiori al resto dell’opera.
Stiamo quindi parlando di un’uscita consigliata soprattutto a chi vuole sapere tutto in materia di doom estremista, con qualche guizzo qua e là ma non la continuità necessaria per stare ai piani alti della categoria. Per quanto il trio inglese resti una realtà solida e competente, assolutamente dignitosa nel perseguire il suo percorso stilistico, ieri come oggi.