8.0
- Band: CONAN
- Durata: 00:50:54
- Disponibile dal: 19/08/2022
- Etichetta:
- Napalm Records
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Non si può dire che i Conan manchino di affidabilità: da loro ci si aspetta un assordante tappeto sonoro in grado di farci sanguinare le orecchie, con la sensazione di trovarci catapultati in una fabbrica siderurgica inglese, e anche questa volta il risultato è raggiunto appieno.
Come sempre, non servono molti fronzoli a Jon Davis e soci, eppure i Conan mostrano sempre – all’interno di un genere monolitico e conservatore – una certa classe nel risultare variegati: un risultato particolarmente apprezzabile, se si pensa che ci troviamo comunque di fronte a soli sei brani, come da norma, ma anche al loro disco di durata più lunga fino ad oggi; il segreto sta probabilmente nella capacità di declinare ogni singolo brano secondo dettami leggermente diversi. Ecco così che, dopo il consueto mastodonte puramente sludge in apertura, troviamo tre brani affini, eppure incisivamente diversi. “Levitation Hoax” mostra il loro lato più rituale e maligno, dove oltre alla consueta colata di metallo fuso, sembra di sentire anche un veleno scorrere nelle orecchie, fino a un finale abrasivo e quasi noise. A seguire “Ritual Of Anonimity” è una bomba ossessiva ed assordante, con un bel riff circolare pesante come un maglio d’acciaio e insieme sulfureo, memore dei Black Sabbath più incalzanti. Ancora, “Equilibrium Of Mankind” è il brano più doom e tetragono del lotto, e al tempo stesso quello dove dalle nebbie fumose del THC emerge più forte l’ombra dei loro padrini e paladini Sleep. “Righteous Alliance”, dà avvio a una lunga sequenza (in termini di minutaggio) che mette in luce al meglio gli spiragli di novità di cui sopra. Qui il rallentamento delle ritmiche, sommato alle linee vocali che si alternano tra il cavernoso e l’acido, riportano quasi alla mente gli Slayer più cadenzati, diciamo quelli dei tempi di “South Of Heaven”: del resto, una collocazione psicofisica adeguata a descrivere i lidi mentali che i Conan ci offrono. Il finale, che inserisce a tratti dei droni spaziali, trova perfetta eco nel brano conclusivo, una “Grief Squence” dipinta a pennellate di psichedelia oscura, decisamente doom se non persino funeral in certi movimenti, con un affascinante tappeto di tastiere démodé, che vede anche la partecipazione come ospite dell’ex bassista Dave Perry.
Una chiusura eccellente e vibrante che dona un quid in più di apprezzamento all’ennesima, assordante e riuscita prova della band.