7.5
- Band: CONTINUUM OF XUL
- Durata: 00:39:00
- Disponibile dal: 20/02/2025
- Etichetta:
- Unholy Domain Records
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A tre anni di distanza dall’EP “Falling into Damnation”, la bolgia dei Continuum of Xul si riapre fra esalazioni solfuree e crepitii infernali, sancendo una volta per tutte le qualità del progetto guidato da Tya (ex Antropofagus) e Matteo Gresele (Ad Nauseam).
Un’opera all’interno della quale la visione del duo, oggi raggiunto dal batterista M. Bestia (Defacement), si concretizza in un flusso nuovamente collerico, intransigente e legato in maniera indissolubile alla tradizione più barbara e parossistica del death metal americano di tardi anni Novanta/primi Duemila, e con la musica al suo interno che sembra ricercare – trovandolo – un equilibrio nel caos, un ordine nell’eccesso.
In questa sorta di preambolo dell’Armageddon, incorniciato magnificamente dall’artwork di Mariya Popyk (Assumption, Deathfucker, Marthe), i nomi che vengono in mente sono quelli ‘di sempre’, quei totem imprescindibili per chiunque desideri abbracciare e restituire lo spirito underground dell’epoca, ma è opportuno sottolineare come questo tipo di associazione automatica, nei quaranta minuti di “Voratore”, non si traduca mai in un suono prevedibile, scontato o che sonnecchia pigramente sulle spalle dei maestri, evitando di imbastire un discorso proprio.
Al contrario, dal momento in cui l’intro “Kadhoth” sfocia nell’opener “The Pillars of Creation”, facendo improvvisamente spirare gli zefiri contenuti nelle opere di Angelcorpse, Hate Eternal, Morbid Angel dell’era Tucker e Rebaelliun, è evidente come i Nostri non abbiano lesinato impegno nella loro operazione di omaggio e rilettura, portando il già notevole songwriting del mini del 2022 su ulteriori livelli di audacia e autorevolezza.
D’altronde, sebbene filtrato da una lente ferocissima e prettamente vecchia scuola, il guitar work di Gresele non rinuncia neanche qui all’esplorazione sensoriale e allo sviluppo di costrutti che richiedono un certo sforzo all’ascoltatore per essere assimilati appieno, rievocando l’ambizione della band madre e inframezzando le frustate tipiche del genere con giochi a base di dissonanze, stratificazioni e variazioni tonali che espandono il linguaggio del disco senza snaturarne la natura violenta e iconoclasta, tra raffiche impetuose (“Hellspawn in Aeternum”, “No Praise for Your Saviour”) a parentesi più enigmatiche e avvolgenti (il midtempo “The Dark Star”, la strumentale “Evestrum [Shades of Night]”).
Un’aggressione monolitica, sì, ma che sa anche come risultare ingegnosa e stimolante, interpretando in modo ‘aristocratico’ i diktat del filone per consegnare il nome dei Continuum of Xul all’elenco delle sorprese death metal dell’anno.
Non siamo ovviamente sui livelli di gente come i Chaos Inception, tornati da poco con un lavoro inarrivabile per classe e profondità, ma per i fan delle sonorità descritte questo è quel che si dice un album da scoprire e, probabilmente, amare.