8.5
- Band: CONVERGE
- Durata: 00:38:32
- Disponibile dal: 09/10/2012
- Etichetta:
- Epitaph
- Distributore: Self
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Per riuscire a dare il meglio di sé, i Converge devono mutarsi nella loro selvaggia forma da rottweiler a briglie sciolte: affamati e spietati, liberi di poter fare quello che meglio ritengono opportuno per il proprio progetto musicale, senza alcuna voce in capitolo se non la loro, con un Kurt Ballou dalle idee chiarissime alla console e con una voglia sfrenata di cambiare ancora una volta le carte in tavola. Sì, “All We Love Leave Behind” è il grido d’urgenza di una formazione che era chiamata ad un’importante prova di forza dopo il (mezzo) passo falso di “Axe To Fall”, è il manifesto di un concetto ben radicato nelle menti di questi quattro musicisti: ‘tutto ciò che amiamo lo lasciamo alle spalle’, non solo musicalmente parlando, facendo tornare alla memoria dischi storici come “Jane Doe” e “You Fail Me”, ma anche, e soprattutto, a livello umano e professionale. Una sentenza alla quale non possiamo sfuggire, ma che, anzi, ci fornisce nuovi stimoli per guardare avanti, lasciando alle spalle, sì, ma non dimenticando, quello mai. E i Converge non dimenticano, non dimenticano i loro capolavori, non dimenticano la rivoluzione apportata a due generi musicali spesso a braccetto come l’hardcore e il metal, non dimenticano i loro lievi passi falsi e non dimenticano i propri esordi, ancora privi di quell’isteria emersa con il nuovo millennio. Ecco, quindi, che da questi spunti nasce il loro nuovo album, una tempesta di lampi e tuoni in continuo movimento tra passato, presente e futuro, tramutata in brani particolarmente diversi l’uno dall’altro ma altrettanto stabili in termini di equilibrio e profondità, viziati da una maturazione definitiva del singer e designer Jacob Bannon, l’elemento in più della carriera dei Converge. Accanto alle consuete cariche a testa bassa, alle atroci torture soniche e ai disagi mentali scaturiti dalla voce del carismatico frontman, troviamo infatti aperture melodiche nettissime che non si vedevano dall’era pre-“Jane Doe”, riportando alla mente vecchi episodi discografici come “Petitioning The Empyt Sky” e “When Forever Come Crashing”, due album dalle strutture snelle, solitamente poco considerati quando si parla del quartetto di Salem. Come in quei casi, anche la nuova fatica gode di una ricercata immediatezza, nonostante le anime che compongono il disco vengano caratterizzate da una natura diversa l’una dall’altra: ad esempio, le forti melodie di “Aimless Arrow” si scontrano subito violentemente contro le scariche grind/black di “Trespasses” e “Tender Abuse”, per lasciar poi spazio ai nitidi giri di chitarra di “Sadness Comes Home”. Forti di nuova linfa vitale, i Nostri tornano finalmente a suonare in maniera eccellente, confermandosi maestri in questo tipo di musica e allontanando quegli spettri stanchi intravisti in “Axe To Fall”, confezionando una serie di tracce senza alcuna caduta di stile, destinate a diventare dei veri e propri cavalli di battaglia di questo nuovo corso. Stupiscono “Glacial Place” – un crescendo di palpabile follia introdotta da gelidi giri di chitarra – le già citate tracce d’apertura, gli scenari apocalittici neurosisiani di “Coral Blue” – indubbia perla del disco – l’accoppiata “Vicious Muse”/”Veins And Veils”, contenenti soluzioni dal mood moderno, vicine a certe idee ben sviluppate dai Kvelertak, le epiche rasoiate al fulmicotone della titletrack e, infine, la viscerale “Predatory Glow”, un flusso di pesanti ritmiche industriali che hanno la stessa efficacia di un boa intento a soffocare la propria preda, dove la sezione ritmica ad opera Ballou-Koller offre una prova come non si sentiva da tempo, terrorizzante e a dir poco comprimente. Per farla breve, come avrete oramai capito, “All We Love We Leave Behind” è la colonna sonora della rinascita e del conseguente assalto di Ballou, Bannon, Newton e Koller, una band oramai entrata di diritto nell’Olimpo dei nomi storici, che non ha paura di confrontarsi con niente e nessuno, neppure con se stessa, e dimostrando che, a volte, quello che molti chiamano “colpo di genio” risiede proprio nella più totale semplicità.