8.0
- Band: CONVERGE
- Durata: 43:20
- Disponibile dal: 03/11/2017
- Etichetta:
- Epitaph
- Distributore: Self
Spotify:
Apple Music:
“I was so naive and fearful of the substantive / Of the greying days, of carrying endless weight / And what it really meant to truly mean something”. Con il nono album degli americani, “The Dusk In Us”, si è di nuovo di fronte ad un qualcosa di inequivocabilmente profondo, esistenziale, devastante. Come un coltello, un ago sotto la pelle, che piano piano di innesta tra i vari strati dell’epidermide. Tanti sono infatti gli strati che il nuovo album di Bannon e soci porta con sè. La produzione – c’è da ammetterlo – è di quelle sopraffine, come ci si poteva ormai aspettare. Kurt Ballou si conferma ancora una volta uno dei migliori produttori di musica distorta degli ultimi anni, non solo per le tonalità che riesce ad infondere nelle aperture delle timbriche percussive e dello spazio sonoro, ma anche perché riesce a donare quella pulizia allo sporco, al distorto, al feedback, rendendolo affilato come un rasoio. Se con “A Single Tear” si poteva intuire un certo intimismo vicino ad alcune delle tonalità più melodiche di certi punti della carriera dei Converge, è con “Eye Of The Quarrel” e soprattutto con “Under Duress” che ritroviamo un piglio più sofferto e rabbioso, quell’urlo hardcore spigoloso e violento di feedback e sferzate sonore che tanto aveva brillato in “You Fail Me”. Il dramma di Bannon diventa ancorato ad un aspetto più profondo e più generale, esistenziale, mondiale, quasi, come il dramma di quella guerra nucleare che è presente tra le righe di “The Dusk In Us”, e non solo con le parole di Vasili Arkhipov, ufficiale della marina sovietica (“It’s the fires that we quell that save us from our hells / It’s the wars that we don’t fight that keeps love alive”), ma con un sentimento di lotta al nichilismo più completo, alla mancanza di senso di tutto il resto. Il nono album dei Converge suona pesante, annichilente, maturo come si poteva aspettare da una formazione in continuo flusso espressivo, riuscendo a catalizzare gli influssi della band e portarli ad una dimensione di ancora maggiore cura estetica. “I Can Tell You About Pain” rimane uno dei migliori esempi di questo processo: fatale e oppressiva, capace di arrivare a tutti e rimanere ancora distante, come il dolore personale e universale allo stesso tempo. “Dusk lives within us / Darkness won’t give up” viene sbraitato nei sette minuti e mezzo della title-track, e ci ricordano “You Fail Me”, più che l’iniziatico “Jane Doe” (dove si iniziava e si finiva con i cartoni sui denti), minuti che si collegano al percorso di “All We Love We Leave Behind” di cinque anni fa. Il basso di Newton si fonde alla perfezione con il sempre ottimo Koller in brani come “Trigger” e “Broken By Light”, capaci di dimostrare in tutto e per tutto la classe del quartetto del Massachussets, capace di inoltrarsi in territori conosciuti e ancora una volta compromessi dall’abbondanza di band fotocopia. Inoltrarsi, perdersi e di nuovo riemergere con passione e cuore. Si sente il post-metal, il death, il noise-rock, la capacità di entrare nelle orecchie con l’efficacia del melodico, si sente la voglia di picchiare duro, si urla, ci sono gli arpeggi del post-rock più meditabondo. Ci sono tutti i Converge. Ancora una volta, un ottimo lavoro. Ancora una volta, musica che urla all’anima.