9.0
- Band: CORONER
- Durata: 00:47:30
- Disponibile dal: 12/08/1991
- Etichetta:
- Noise Records
- Distributore: Self
Spotify:
Apple Music:
Valutare certi album e più in generale certe band ai giorni nostri, a venti o trent’anni di distanza, è facile, se non addirittura scontato. Ma nella nostra banalità, se dovessimo stilare un’ipotetica classifica dei gruppi più sottovalutati dell’intera scena metal, ai primissimi posti metteremmo certamente gli elvetici Coroner (che, insieme ai Dark Angel, si contenderebbero il gradino più alto del podio). La thrash metal band di Zurigo, fondata nel 1983, diede alle stampe tre full length prima di “Mental Vortex”, pubblicato nell’anno di grazia 1991. Questo quarto capitolo in studio è la celebrazione, nonché la maturazione completa, del sound del terzetto svizzero, evoluzione che si è svolta gradualmente ma costantemente, culminando con quello che sarebbe poi stato il capitolo conclusivo della band; parliamo del successivo “Grin”, del 1993, album molto sperimentale a lungo ignorato completamente, e colpevolmente, da critica e pubblico. Prima di addentrarci nella disamina del songwriting e del disco in sé, crediamo che sia necessaria una breve panoramica sulla produzione e sul suono che ha questo platter: un suono così secco, freddo, quasi asettico; una produzione che a tratti oseremmo definire persino monocorde, in quando pare quasi appiattire le canzoni, quando in realtà si tratta di una produzione ai limiti dell’industrial nella sua essenza inumana. Un aspetto, questo, che sulle prime sembra quasi essere un punto debole ma che, con il susseguirsi degli ascolti, diventa talmente importante che non riusciremmo mai ad immaginare questo disco con un suono più caldo e coinvolgente. Ma ciò che rende “Mental Vortex” un masterpiece e, più in generale, i Coroner una band di culto, è proprio il songwriting, ovvero la loro capacità di scrivere canzoni geniali. La loro musica affonda le proprie radici in quel thrash metal teutonico che in quegli anni andava per la maggiore, mettendo in risalto però una verve maggiormente tecnica, progressive, preferendo rimanere su strutture più controllate e riflessive piuttosto che il classico assalto all’arma bianca di band come Kreator o Destruction (sebbene fondamentalmente la base di partenza sia quella). Il lavoro di chitarra ad opera di Tommy T. Baron – che in seguito allo scioglimento della band sarebbe entrato proprio nei Kreator, nel periodo non proprio più esaltante della loro carriera – è magistrale sotto ogni punto di vista. Tecnicamente il riffing ha una precisione chirurgica, una definizione nell’esecuzione che non conosce decimi di secondo di ritardo o sbavature anche solo minuscole, non crediamo di dire un’eresia nell’affermare che Tommy sia uno dei chitarristi più preparati della scena di quel tempo. Ma quando una tecnica così sopraffina viene messa al servizio delle canzoni e intrecciata alla perfezione con gli altri colleghi del gruppo, allora tutto diventa davvero interessante. Già, perché i cambi di tempo così repentini, così come le improvvise variazioni di tema e atmosfera, il gusto così rock degli assoli, hanno tutti una dinamica lucida e naturale e non vanno mai a discapito della fruibilità dei brani che, va detto, sono tutti piuttosto lunghi e articolati ma senza vivere di momenti di stanca, o anche semplicemente di inutili orpelli manieristici, che possono magari capitare quando si decide di sfociare nei lidi del prog o del ‘technical qualsiasi cosa’. Gli esempi più lampanti ed evidenti di quanto stiamo affermando si spiegano, certamente molto meglio di quanto non potrebbero fare mille parole, nel brano di apertura: “Divine Step (Conspectu Mortis)”. Questa traccia è una sorta di manifesto del Coroner-pensiero, e al suo interno troviamo tutti gli elementi essenziali della loro proposta: dalla chitarra secca e tagliente allo scream gracchiante e malefico di Ron Royce, passando per i cambi di tempo letteralmente da cardiopalma; come ad esempio ciò che avviene al quarto minuto, con una virata di ritmica e atmosfera che sarebbe in grado di lasciare di stucco anche il più insensibile degli ascoltatori. Non a caso, al primo live della reunion, avvenuta qualche anno fa ad un Hellfest, questo episodio venne scelto proprio come brano di apertura del gig dopo svariati anni di silenzio. “Mental Vortex” è un concentrato di intelligenza e tecnica, maturità ed efficacia, un capitolo fondamentale di technical thrash metal che non deve assolutamente mancare nella collezione di qualsiasi appassionato del genere.